giovedì 25 agosto 2022

Di danze e specchi nell'antico Egitto

Danzare con uno specchio, che riflette l’invisibile e l’invisibile, era una ritualità egizia che diffondeva la gioia e la grazia della dea Hathor, così come la sua luce. Come accennato in precedenza, durante questa danza le sacerdotesse, o le semplici danzatrici, tenevano in mano degli specchi, “che mossi durante la danza probabilmente producevano particolari giochi di luce ed erano associati al concetto di rinascita”.
Riflessi di luce prodotti forse dalle fiaccole, dai fuochi che ardevano nella sala del tempio, che illuminavano e forse benedicevano tutto ciò che, con il loro riverbero, toccavano. Era Hathor quella luce, era Hathor quel riflesso, e la promessa della rinascita attraverso di lei.
In merito, aggiungo questo bellissimo brano di Layne Redmond:

“[Hathor] Tiene in mano uno specchio che riflette la vastità di tutto ciò che non è e anche di tutto ciò che esiste. La realtà è in un flusso continuo, ma lei rimane inalterata. Al ritmo dei tamburi a cornice e dei sistri, le sue sacerdotesse eseguivano la rituale Danza degli Specchi, che rifletteva la sua gloria. Lei è troppo luminosa, troppo abbagliante per guardarla direttamente, l’Aurea, la Dorata, la Bella, l’Adorabile. Anche gli dei devono evitare di guardare direttamente la radiosità accecante della pura coscienza.

Una dea talmente immensa e luminosa che per guardarla occorre uno specchio – un simbolo che ritornerà nel mito greco della gorgone, la dea serpentessa.
Il rituale della danza degli specchi era forse un modo per portare il riflesso di Hathor, e quindi la sua presenza, attorno alle sue danzatrici, nella sacralità del tempio e del momento, in una danza che riuniva la donna e la dea, l’umano e il divino.

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Osservando gli specchi hathorici con il manico decorato a forma di testa di Hathor, non ho potuto fare a meno di notare la similitudine fra il cerchio riflettente, spesso di bronzo dorato, con il disco solare che Hathor porta sulla testa, fra le due corna di mucca. Lo specchio, in questo senso, diventerebbe l’immagine materiale del sole, la sua luce riflettente richiamerebbe i raggi del sole, e le sacerdotesse che svolgono la danza degli specchi, potrebbero rivelarsi ancelle solari che recano piccoli soli tra le mani, e ne riverberano la luce nel tempio, portandone i caldi raggi sulla terra.
Inoltre, specchiarsi nello specchio di Hathor, sarebbe quindi come specchiarsi nel sole, specchiarsi in Hathor stessa – l’Occhio di Ra – e trovarvi, dorato e brillante, il proprio riflesso.
Perché Hathor, il divino femminile, non era solo attorno, ma dentro.

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Le citazioni fra virgolette sono tratte da Layne Redmond, Quando le donne suonavano i tamburi, Venexia Editrice, pagg. 111, 117.
Fotografia di Maulleigh

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