mercoledì 24 agosto 2022

Di sistri e campanelli nell'antico Egitto

Nella cultura egizia, una delle arti puramente femminili era quella della musica. I dipinti antichi mostrano le donne intente a suonare vari strumenti musicali, a fiato e a percussione, e a danzare ritmi e suoni da loro stesse creati. Fra gli strumenti musicali a percussione utilizzati dalle sacerdotesse e dalle musiciste, uno dei più sacri era il sistro, l’unico strumento, oltre alla voce, che era suonato nella parte più interna e inaccessibile del tempio.
Agitato in modo ritmico, con intensità e frequenza variabili, il sistro emetteva un tintinnio metallico prodotto dalle sue placchette di bronzo o di altro metallo nobile, che si credeva elevasse alle dimensioni sottili e aiutasse le sacerdotesse a connettersi con la divinità, in particolare con Hathor, dea della musica e della danza, alla quale le sacre musiciste spesso erano votate.
Così scrive Layne Redmond: “I sistri erano usati nei riti più sacri (…). Il tintinnio ritmico era un mezzo per sintonizzare la coscienza di ognuno con la coscienza della divinità. I testi descrivono Hathor che scuote il sistro allo scopo di concedere la benedizione dello sviluppo spirituale. (…) Nelle mani della dea il suo movimento simboleggiava il movimento della nascita del mondo attraverso il mezzo del suono.
La parola sistro deriva al greco seistron, a sua volta da seio, ovvero “scuoto, agito”, simile a seyo, “metto in rapido movimento”, ma sembra che la parola significasse anche “brillare, emanare luce”.

Nel Libro egizio degli inferi, che descrive il viaggio notturno del Sole verso la rinascita mattutina – e al contempo la forma emblematica del percorso iniziatico-alchemico di coloro che desiderano “nascere due volte” nel corso della propria vita – fra le varie figure raffigurate è presente Hathor che porta in mano il sistro. Come scrive Boris de Rachewiltz, per raggiungere il potere interiore simboleggiato dagli scettri sekhem, era necessario avere padronanza della corrente astrale, imparando a “dosare il ritmo”. “È la simbolica ‘arte della Bilancia’ che prescrive le dosi di attivo e di passivo necessarie al buon successo dell’operazione. Nel testo ciò è raffigurato dal sistro della dea Hathor e dalla piuma della dea Maat che seguono l’imbarcazione del coccodrillo. Il sistro, lo strumento che le sacerdotesse della dea dell’Amore agitavano ritmicamente nelle cerimonie, equivale appunto allo stato vibratorio, al “ritmo”. E la matematica esattezza di questo ritmo è precisata dalla piuma di struzzo della dea Maat, la dea della Verità e Giustizia: simbolo di equilibrio matematico assoluto.

Oltre a innalzare la coscienza, a sintonizzare con la dimensione divina, ad accompagnare la danza sacra e a segnare il ritmo iniziatico e creativo, il sistro era anche un potente strumento protettivo. Il suono prodotto dai suoi sonagli metallici cacciava gli spiriti malevoli e allontanava i nemici.
Questa capacità apotropaica apparteneva al sistro sin dai tempi più antichi, e ancora oggi “lo scuotere i campanellini, il suonare le campane, il suono dei cembali e il colpire il gong hanno mantenuto questa funzione sciamanica. Le danzatrici, sin dal Paleolitico, attaccano sonagli e campanelli ai loro piedi e ai vestiti o li indossano come collane.

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Le citazioni fra virgolette sono tratte da Layne Redmond, Quando le donne suonavano i tamburi, Venexia Editrice, pag. 111; e da Boris De Rachewiltz, Il libro egizio degli inferi, Edizioni della Terra di Mezzo, pag. 55. L’etimologia proviene dal Dizionario Etimologico online di Ottorino Pianigiani.

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