Cala allora un attimo di silenzio, di assenza, di vuoto. Ed è in questa assenza, in questo vuoto che ho vissuto gli ultimi giorni.
Chiamata insistentemente dalle dita lunghe e sottili della morte che chiedeva di essere sperimentata a fondo e meditata, ho accolto il suggerimento di immaginare la propria stessa morte, di vedere il proprio corpo deperire, mutare in ossa, e ho pianto tante lacrime per queste forme imperfette, per questa mente, per questo cuore, scoprendomi molto più affezionata ad essi di quanto pensassi.
Seduta accanto alle mie spoglie, fredde e pallide, ho sentito un amore talmente grande che mi ha travolta… così ho stretto quel corpo spento, e l’ho cullato a lungo.
Non siamo eterne/i, siamo fatte/i di materia e di spirito, eppure questo corpo vive per il tempo che scorre in un battito di ciglia, ed è prezioso. Porta i segni della nostra vita, impressi in ogni piccola ruga, in ogni piccola cicatrice, soprattutto in quelle invisibili, ed è il tempio dentro il quale brilla il lume.
Non ci rendiamo conto di quanto sia caro, di quanto sia importante… ma nel momento in cui ci immaginiamo sedute accanto ad esso, ormai freddo, pallido e spento, non possiamo fare a meno di amarlo teneramente. E piangere per la sua fine necessaria, che può arrivare fra moltissimi anni, oppure domani.
La consapevolezza della vita fugace e della morte imminente, del memento mori che dovremmo sempre custodire nel cuore, proprio accanto alla calda spinta alla vita, rendono ogni giorno più prezioso, ed essenziale l’intento di darne più valore possibile, nutrendo noi stesse/i e gli altri, condividendo, donando, trattenendo il meno possibile, e lasciando un buon ricordo.
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