“Si hanno attestazioni archeologiche di sacerdotesse già nelle fasi più antiche della storia faraonica. Risale all’Antico Regno la tomba della “sacerdotessa di Hathor” Hetepet, vissuta alla fine della V dinastia probabilmente durante il regno del faraone Niuserra.” Dalla sua grande tomba, a Giza, decorata da splendide pitture parietali, “si deduce che “la sacerdotessa di Hathor, conoscente del re” Hetepet ricopriva un ruolo di notevole importanza non solo per i titoli a lei attribuiti, ma anche per il privilegio conferitole di essere seppellita in una tomba autonoma in una necropoli dedicata a funzionari di alto rango.”
Una delle caratteristiche più affascinanti di certe sacerdotesse egizie sono i tatuaggi, rimasti impressi sul proprio corpo mummificato.
Vissuta all’inizio del Medio Regno, la sacerdotessa della dea Hathor, Amonet – la cui sepoltura a pozzo si trova a Deir el-Bahari – aveva la pelle tatuata di simboli sacri.
“Sulla mummia di Amonet sono stati rinvenuti numerosi tatuaggi stilizzati, punti e linee disposti in varie parti del corpo” legati a “una funzione e un significato nella sfera religiosa.”
Inoltre, “il fatto che Amonet venne seppellita a Deir el-Bahari sembrerebbe ricondurla a una cerchia di sacerdotesse del culto di Hathor, dea particolarmente cara a Montuhotep II dal momento che anche alcune delle regine secondarie di questo sovrano, come Aashayt, Kauit, Myt e Henhenet, le cui sepolture sono state rinvenute all’interno del suo complesso funerario” – come anche la tomba di Amonet – “portavano il titolo di hemet netjer Hwt-Hor, “sacerdotessa di Hathor”.”
Ancora più interessante è la mummia di una sacerdotessa di cui non si conosce il nome, che visse a Deir el-Medina in epoca ramesside. Sul suo corpo sono stati individuati “circa trenta tatuaggi, non solo stilizzati (…) ma anche figurati come fiori, animali e geroglifici posti anche in zone visibili del corpo, il collo per esempio. Tra i simboli che hanno colpito maggiormente gli studiosi vi sono il segno nefer, che indica non solo la bellezza, ma anche la bontà e la perfezione divina, vacche sacre che probabilmente collegano la donna al culto della dea Hathor e l’amuleto udjat posizionato in vari punti, su spalle e collo; molti dei tatuaggi sono riconducibili al culto di Hathor e alcuni di essi sono simili ai graffiti votivi rinvenuti nel tempio dedicato alla dea a Deir el-Medina.”
La funzione dei tatuaggi è ancora ipotetica, poteva trattarsi di “una pubblica espressione di devozione, oppure (…) rivestendo la donna un ruolo all’interno del clero di Hathor, i tatuaggi potrebbero aver avuto un valore magico-religioso durante le danze e i canti rituali in onore della dea.”
Attestate numerose dalla metà dell’Antico Regno fino all’inizio del Nuovo Regno, le sacerdotesse della dea Hathor diminuiranno, e si diffonderà il titolo di “cantatrice”, intesa come cantrice della dea, così come musicista, danzatrice, portatrice della gioia e della bellezza di cui Hathor in particolare era espressione.
Hathor era dea della danza e della musica, e particolarmente interessante è una delle danze sacre svolte in suo onore.
Le danzatrici, sacerdotesse oppure laiche, eseguivano per la dea la “danza degli specchi”, durante la quale tenevano in mano “alcuni oggetti liturgici sacri alla dea: gli specchi, che mossi durante la danza probabilmente producevano particolari giochi di luce ed erano associati al concetto di rinascita, e le nacchere, costituite da due valve in legno o avorio a forma di mano, decorate con fiori di loto o immagini di Hathor. Strumenti sacri ad Hathor, dea della musica e della danza, erano anche i due sistri sesheshet e sekhem, il cui suono armonico e ritmico emesso durante le cerimonie liturgiche incantava le orecchie della dea.”
In merito alle donne o sacerdotesse scriba, erano rare ma presenti. Portavano il titolo di seshat, ovvero semplicemente “scriba”, e probabilmente avevano gli stessi incarichi degli scribi uomini.
Fra esse, si ricorda Iduy, vissuta durante la XII dinastia, “il cui titolo rimane su un sigillo scarabeo (…).”
Diverse erano invece le “Cantatrici di Amon” che “nelle tombe tebane si sono fatte rappresentare con gli strumenti da scriba sotto il seggio.” Questo lascia presupporre che la scrittura fosse fra le loro sacre mansioni nei templi o nelle scuole.
Le citazioni sono tratte da Massimiliana Pozzi Battaglia e Federica Scatena, Regine, dee e donne nell’antico Egitto, Antiqua Res di Effigi Edizioni, pagg. 27, 81-83, 85-86.
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