Le mie letture
Le figlie delle acque
Qualche giorno fa ho ripreso in mano un vecchio libro che diversi anni fa avevo letto solo in parte, e rileggendolo in soli due giorni me ne sono innamorata, tanto che non riesco a separarmene. Per quanto non abbia apprezzato certi giudizi dell’autore, nonché la mancanza di note bibliografiche che permettano di risalire alle fonti e ampliare così la ricerca, gli spunti che il libro offre sono infiniti, e per ognuno si aprono nuovi sentieri di ispirazione e di ricerca, tanto che il nutrimento che riempie le pagine sembra inesauribile.
Mentre ho iniziato a trascrivere gli appunti per una nuova ricerca, legata ad una delle figure acquatiche presenti nel libro, lascio che certi brani e citazioni continuino a cantarmi dentro, proprio come le fascinose Sirene…
Voglio appuntare qui alcuni brani, nei quali sono raccontate divinità orientali delle acque che, per le loro caratteristiche, mi ricordano tanto certe leggende europee e alpine, e le magiche virtù che erano attribuite alle donne-dee e alle sacerdotesse arcaiche, ovvero la verginità intesa in senso antico, la metamorfosi che permetteva il passaggio da un regno naturale all’altro, e il volo sottile.
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“T’ien-fei è venerata come protettrice dei naviganti e dea della fecondità. I templi innalzati in suo onore costeggiano i fiumi. (…)
Lo Spirito dell’acqua è femminile e vi sono tre T’ien-fei. T’ien-fei nacque nell’isola di Mei-tcheou. Non fu concepita nel solito modo, ‘ma mediante la masticazione di un fiore misterioso, chiamato Yeou-pouo-hoa, o anche Yeou-t’an-pouo, che la dea Koan-in donò a sua madre’ (…).
T’ien-fei nacque quattordici mesi dopo il suo concepimento nel seno materno, il ventitreesimo giorno del terzo mese dell’anno 742 a.C. A cinque anni recitava preghiere e danzava in onore degli Spiriti. Un giorno spiccò il volo, e, divinità protettrice, salvò i suoi fratelli alle prese con il mare scatenato uscendo dal suo corpo. Rifiutò di maritarsi e morì nella casa di suo padre Lin.”
Michel Bulteau, Le figlie delle acque, pag. 129
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La dea del Wou-chan
“Sul monte della Strega si trovava il Kao-t’ang, santuario della divinità Yao-ki riverita dai re. Sopra il santuario vi erano due nuvole vaporose: Tchao-yun, la Nube mattutina e Hing-yu, la Pioggia regolare. Come è detto da Song Yu nel Kao’-t’ang fou:
‘Accadde un giorno che il vecchio re venne a passeggiare a Kao-t’ang; stanco, si addormentò in pieno giorno e vide in sogno una giovane donna che gli disse: ‘Io sono la figlia più giovane del Sovrano, il mio nome è Yao-ki. Morta prima di sposarmi, ho ricevuto in dominio la Terrazza di Wouchan. La mia anima è diventata una pianta che, una volta raccolta, si trasforma in erba magica, chi la mangia può sedurre chi vuole o incontrarlo in sogno. (…)’
(…)
Quando si separarono la dama gli parlò in questi termini: ‘Io risiedo nel Wou-chan, nei dirupi di questa montagna. All’alba, sono Tchao-yun, la Nube mattutina, la sera sono Hing-yu, la Pioggia regolare; e così ogni mattina e ogni sera, ai piedi della Terrazza meridionale.’
L’Immortale era anche la Dama Efflorescente delle nuvole.
(…)
La dea iniziata al Tao poteva deviare i venti e domare i fenomeni naturali, ritornare spirito e trasformarsi in intelligenza volante. È una figlia della Madre del Metallo e il passaggio dei regni non ha per lei alcun segreto:
‘Si era trasformata in pietra, poi la vide che s’involava improvvisamente per dissolversi in una leggera nuvola, poi che si immobilizzava, si condensava e diventava una pioggia vespertina; la vedeva tramutarsi ora in un drago che si divertiva, ora in una gru che svolazzava qua e là: ella assumeva così mille forme e apparenze diverse, tanto che Yu non la poteva avvicinare.’
(…)
‘L’apparire e scomparire, il trasformarsi è per lei del tutto naturale: ha saputo condensare il Soffio, realizzare la condizione dei Tchen (Immortali) e conformarsi al Tao. (…)’
Le presenze si corrispondono, e la dea delle acque tiene tra le braccia l’Uovo del Mondo. Questa unione accessibile si fonda sulla Natura.”
Michel Bulteau, Le figlie delle acque, pagg. 133-135
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“All’inizio di ogni mese, la madre delle dodici lune, (…) immerge le sue figlie in un lago. Queste dodici lune rappresentano i dodici mesi lunari. Un misterioso cocchiere, uomo o donna, conduce il carro delle lune.
Nella luna vi sono due animali: la lepre e il rospo, che è forse un’incarnazione di Tch’ang-ngo, la moglie dell’arciere Yi. Al centro della luna si erge un palazzo: il Palazzo del Freddo Immenso (Kouang-han kong) riccamente lavorato e lastricato d’oro. La regina di questo palazzo è Tch-ang-ngo che ama rimirarsi nel suo specchio a mano. Le sue servitrici sono delle ‘bianche giovani’ che indossano lunghi abiti e grandi cinture, suonano diversi strumenti, cantano e danzano spargendo fiori.
La luna (…) è acqua e dispensa le prime tappe del cammino d’Immortalità.”
Michel Bulteau, Le figlie delle acque, pagg. 135-136
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Leggo questi brani e sento di appartenere ad essi e a ciò che narrano, anche se provengono da terre lontanissime.
E in un mondo disincantato, dove anche chi si occupa di spiritualità non riconosce e nega le virtù magiche delle antiche maestre, io continuo a cercare loro, e loro soltanto. Perché la loro voce armoniosa è l’unica che voglio ascoltare.
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