venerdì 14 giugno 2024

Giuramenti

Tanti anni fa feci un giuramento. Un giuramento segreto, accorato, assoluto, espresso con tutta me stessa. Ogni più piccola parte di me era presente in quelle parole, e un anello invisibile si impresse sul dito della mia anima.
Col passare degli anni, tuttavia, mi sono resa conto che ciò a cui avevo giurato era diverso da quello che avevo creduto. Quello a cui mi ero votata non rispondeva alla sua apparenza, e in parte non era nemmeno mai esistito.
Rendermi conto della verità e accettarla ha richiesto molti anni, ed è stata e sempre sarà una delle sofferenze più grandi della mia vita. Eppure mi sono rifiutata di arrendermi e di gettare tutto alle ortiche, ho raccolto i pezzi e li ho nascosti. Li ho protetti e mantenuti in vita, lontano dagli occhi di tutti. Li terrò in vita per il tempo in cui potranno vivere di nuovo, mi sono promessa. Come braci mai spente che rosseggiano nel buio.
Ciò nonostante, da allora il mio giuramento è rimasto orfano, e ha sofferto la mancanza di ciò che gli aveva dato vita. Ma la sua forza iniziale era tale da non permettergli di svanire nella nebbia dell’oblio. Un giuramento di questo genere non si esaurisce, né si corrompe. Come una stella, continua a brillare, anche dopo che la sua sostanza materiale ha smesso di esistere.
Ogni volta che mi ha richiamata a sé, ho bevuto il suo dolore, e l’ho raccolto e tenuto stretto al cuore, lì dove era nato. Se non esiste ciò che lo ha ispirato, mi sono detta, esisto io.
Esiste il cuore che lo ha espresso, la voce che lo ha pronunciato.
Ho cominciato a guarire il suo vuoto, riempiendolo dell’unica cosa reale che avessi, me stessa.
Fino a ricordare. Ho ricordato che ciò a cui avevo giurato, in verità, altri non era che la mia stessa anima.
Perché non era così necessaria e imprescindibile la via che avevo scelto per raggiungerla. Ciò che era necessario era solo e soltanto lei.
Lei, la mia salute, la nostra libertà.

Oggi guardo le rovine dietro di me, i percorsi abbandonati, le porte chiuse, i veli caduti, le divinità crollate – e non vi è giorno in cui dentro di me io non pianga quelle rovine.
Non è rimasto nulla. O quasi.
Sono rimasta io.
E sono qui, con tutta l’anima.
E sono luce, e forza,
e ali dispiegate nel vento.
***

Nutrice: la Colchide è lontana, di tuo marito non ti puoi fidare, del tuo potere non resta più nulla.
Medea: resta Medea. In lei c’è mare e terra, e ferro e fuoco, i fulmini e gli dei.
[…]
La sorte può sottrarmi ogni bene, non l’animo, mai.

Seneca, Medea

***
Illustrazione di Renia Metallinou

mercoledì 12 giugno 2024

Quando la superficie si increspa

Quante volte vediamo solo ciò che vogliamo vedere? Siamo convinte di ciò che crediamo sia vero e non riusciamo a spingere lo sguardo più in là.
Quante volte una vocina dentro di noi ci mette in guardia, ma non la ascoltiamo? Oppure il nostro occhio scorge un’ombra oscura e meschina, e immediatamente guardiamo altrove, perché non vogliamo credere a ciò che ci sembra di aver visto?
Così tutto è bello e perfetto e incantato, perché ci piace che sia così e vogliamo che così resti.

A volte però la superficie si increspa…
Una nota stride,
una maschera cade…
Quante volte facciamo finta di niente e proseguiamo per quella che crediamo sia la nostra strada, negando a noi stesse l’evidenza pur di non ammettere che ciò che abbiamo visto possa essere più vero di ciò che crediamo sia vero?
Io lo so bene, mi sono ingannata tante volte e a volte continuo a farlo, consapevolmente.
Ma vedo, e sento, e so. E quando ne ho voglia, e sono pronta a lasciare che tutto crolli, lo ammetto a me stessa.
Perché quando non vale più la pena di nascondermi sotto al comodo velo dell’illusione, perché ciò che vedo e sento e so è troppo grande, l’inganno non mi piace più. Ed ecco che cade e si infrange.
Spesso ciò che cela sono frammenti di inferno.
False corna, fumo, fiamme gelide e occhi neri.
Odore nauseante,
grida rauche e stonate,
ciechi seguaci che sbraitano e vomitano,
miasmi rivoltanti.

Amo troppo l’oscurità – quella sublime e raffinata,
per accettare di camminare laddove
striscia
chi parla di luce,
e non è in grado nemmeno di rispettare l’ombra.
Fotografia di Natalia Drepina