domenica 30 gennaio 2022

La malattia nel mondo antico

(…) l’interdizione linguistica evita di chiamare la malattia con il suo nome perché nominarla equivarrebbe ad evocarla. Alla stessa si attribuiscono invece altri nomi onorifici per lusingarla a non nuocere.”
(Evel Gasparini, Il matriarcato slavo)

Trovo questo modo antico di rapportarsi con la malattia – e con le sue cause – estremamente armonioso. Lo sento parte di quell’equilibrio più grande a cui io stessa aspiro, e l’ho sentito profondamente mio sin dall’inizio di questa lunga e pesante prova a cui l’umanità è sottoposta.

Qualche mese fa avevo scritto un brano riguardante l’orixà brasiliano che incarna la malattia, la pestilenza, l’epidemia – e quindi la pandemia; e il modo in cui la malattia stessa viene trattata all’interno della religione candomblé, ma non solo.
In particolare riprendo:
(…) si potrebbe pensare che sia un’entità disprezzata e denigrata, ma la realtà è che si tratta, sì, di un orixà fra i più temuti, ma anche e soprattutto di uno dei più amati, dei più celebrati e onorati. Per quale motivo?
Perché la malattia è rispettata. La malattia è riconosciuta, accettata e onorata, nonostante la sofferenza che reca, perché solo così è possibile accogliere anche il suo potere trasformativo e, se possibile, la sua guarigione
.”

Ad oggi ritorno su questo concetto e lo condivido nuovamente, perché magari può essere utile a chi segue un percorso spirituale animista simile al mio.
E ripeto:
Io non riesco a odiare la malattia, a insultarla, perché il mio rispetto per essa è molto più grande.
La riconosco, la vedo, la temo, osservo da vicino il suo potere mortifero, e per questo la rispetto
.”

E aggiungo che, pur tuttavia, imparerò a non nominarla, a non chiamarla. Ma a trattarla ancora di più con rispetto, con gentilezza, dandole nomi diversi, per lusingarla a non nuocere.

Trattengo l’energia e la rivolgo, come un manto bianco e luminoso, alla protezione mia e di chi amo.
Accetto con gratitudine e fiducia le precauzioni che sono state offerte per evitarne gli effetti più gravi.
Rafforzo il corpo nell’eventualità di doverla conoscere, di modo che sia capace di gestirla e spegnerla.
E sempre mantengo accesa la fiamma,
che è speranza e guida in questo tempo difficile.
Fotografia di autrice o autore non indicata/o, raccolta da Pinterest.

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