In questi giorni di guerra poco distante da noi, apprendo una cosa importante per me. Che non sono una pacifista come loro. Il mio ideale di pace è diverso, molto diverso, da quello di cui loro si fanno portavoce.
Sin da bambina ho imparato a ribellarmi alle ingiustizie, che ho sempre sentito insopportabili. E ho imparato che è giusto difendersi quando si viene attaccate, violate o sottomesse.
Sentire giustificare le ragioni di chi aggredisce, mettere tutti sullo stesso piano, e invitare chi è attaccato al sacrificio assoluto, senza nemmeno tentare di resistere e difendersi, mi provoca una rabbia profonda che sento legittima e che non posso reprimere.
Mi è molto difficile conciliare, in questi giorni, il desiderio della pace con la necessità di resistenza e ribellione. E se non fossi qui, e fossi in un luogo ostile e violento, dove la pace fosse solo un ricordo violentato e ridotto a brandelli, non potrei che scegliere le stesse resistenza e ribellione che proprio lì vengono scelte. Animata tuttavia dalla ricerca inesauribile di un ritorno alla pace vera.
Non appoggerò mai ideali che spingono a una pace fittizia ottenuta con il sacrificio della libertà.
Ho sempre preferito la resistenza alla resa incondizionata – e fatale.
Per questo non posso che comprendere e sostenere la necessità della difesa, della lotta per la propria vita e per i propri valori.
Pur senza rinunciare mai, mai, a quel centro di pace interna,
che è la stella polare di qualsiasi conflitto,
e che nonostante ciò che accade intorno non dimentica se stessa.
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