Alcune persone sentono ogni cosa, sempre che sia vero. Prendono in mano una pietra e vanno in estasi, parlano con alberi e animali, fate, folletti e gnomi, e sentono le loro risposte. Così dicono. Io invece non sento nulla. Forse la mia è solo invidia, ma il più delle volte, volente o nolente, non credo a una parola. Annuisco sorridendo, e guardo altrove. Una ragionata diffidenza, un profondo scetticismo, tanta sfiducia trasmessa dalle molte illusioni e delusioni di cui è stata costellata la mia strada fino a oggi. È più forte di me, anche quando lo vorrei, non ci credo. Specialmente davanti alle certezze, alle ferree convinzioni, alle enunciazioni di verità, ogni parola crolla nel vuoto priva di vita, e non mi lascia dentro niente, solo l’ennesima sfiducia, l’ennesima delusione. E una grande tristezza che nasce dalla sensazione di non trovare mai il mio posto nel mondo, una guida da ascoltare, una via già battuta da seguire.
Non fa per te, mi dico. Anche questa volta la strada te la devi battere da sola. Almeno sai in che direzione non andare.
Vado per esclusione, spesso, e provo un senso di sollievo nel riconoscere ciò a cui non appartengo e ciò che non mi appartiene. Buon per te, mi dico, un meandro del labirinto in meno nel quale perderti e dal quale, poi, dover uscire.
Ma ci soffro, anche. Ricordo un giorno lontano in cui, di fronte al mio non sentire né vedere ciò che avrei dovuto – e voluto con tutta me stessa – sentire e vedere, mi è stato detto che evidentemente quella strada non faceva per me. Fai altro, se non senti e non vedi, fai altro, si vede che non è la tua strada.
Con una leggerezza assoluta, lo scopo più grande e profondo della mia vita, la mia stessa vita, veniva gettato via come fosse nulla. Fai altro. Peccato che non esisteva altro, per me.
Quella voce assolutamente autorevole, che riconoscevo come maestra, mi ha piegata. Eppure, dopo lo smarrimento iniziale, non l’ho ascoltata. Un atto di disubbidienza estremamente doloroso, eppure vitale.
Non ho fatto altro. Mi sono impuntata, ho proseguito. Ho ammesso e accettato di non vedere né sentire, mi sono allontanata, e ho proseguito. Al buio, nella nebbia, abbandonando ogni certezza, affidandomi solo a me stessa e a ciò che mi abita dentro. La mia anima. Lei la sento, non sempre, ma la sento. In lei credo. Sarà poco, ma per me è tutto.
Mi sono affidata solo all’amore che proveniva da lei dentro di me, e da colei che chiamo Grande Madre, dentro e attorno a me. Ho ripulito il mio specchio tante e tante volte, fino a riflettere dentro ciò che era fuori e riconoscere fuori ciò che era dentro. Amore, Gioia, Bellezza, Luce. Oro. Loro le sento, in loro credo.
Nelle mie personali illusioni ho comunicato con entità e divinità – inventate dall’essere umano e probabilmente inesistenti – esterne a me. Non ho sentito né visto nulla, ma mi è piaciuto credere che qualche volta mi ascoltassero. Il mio cammino è comunque stato benedetto da molte fortune. Magari alcuni sono stati piccoli doni ricevuti, magari ho semplicemente seminato bene e raccolto meglio. In ogni caso, ho sempre accolto con immensa gratitudine tutto ciò che di buono la vita mi ha dato, affrontando e accettando, seppur a fatica, ciò che mi ha tolto.
Da qualche tempo mi sento persa, il mio specchio è opaco e spento.
Non so più in cosa credere, ho perso ogni fiducia. Fluttuo in un vuoto muto e scomodo. La mia ispirazione tace, queste sono le prime parole che scrivo da settimane. Non sono ispirate, le sto cavando fuori a forza da dentro, una per una. Non sono buone, ma sono mie, mie soltanto, e le tengo in cuore. Ho bisogno di loro.
Lascio le canalizzazioni di flussi cosmici ed esseri di luce ad altre e altri, io non ci credo né mi interessano.
Per tanti anni, in passato, ho desiderato di parlare con voce divina, di avere qualcosa di sacro da insegnare alle altre, di essere datrice di sacro ricevuto e trasmesso, sacerdotessa, ancella e strumento di dee ed entità numinose. Ad oggi sono talmente tante coloro che a proprio modo sostengono di esserlo, che non soltanto non riesco a credere a nessuna/o di loro, ma mi è venuta a noia persino la mia stessa vocazione – e questo non so se riuscirò a perdonarlo.
La strada è troppo affollata, caotica, e di conseguenza, è diventata noiosa e indesiderabile, addirittura ridicola ai miei occhi.
Ognuna/o si crede canale e portavoce di divinità ed esseri superiori… Beate/i loro.
Io parlo per me stessa, è l’unica cosa vera che posso fare, ma nei momenti più fortunati e benedetti, parlo con l’anima. Ispirata da lei soltanto, dalle sue sottili comunicazioni con la bellezza universale, dall’amore che sento e traduco in parole, dall’incanto, il canto interiore, che nasce solo dentro, da noi stesse, e solo dentro può essere udito, compreso e quindi trasmesso. Quello lo sento, qualche volta. In lui credo. Sarà poco, ma per me è tutto.
Nel mio non sentire né vedere, nutro tuttavia una grande ambizione. L’unica che mi resta.
Non essere luna che riflette e ripete la luce di altri, pur restando buia, fredda e vuota.
Ma essere stella. Stella che brilla di luce propria. Propria soltanto. E che non ha bisogno di altro che di se stessa per brillare. Lo sono stata, per qualche istante. L’ho sentito. Ci credo.
Essere stella che di luce si veste e si fa parola. E brillare, brillare tanto forte da abbattere ogni incertezza, da annientare ogni dubbio, da dissolvere ogni illusione e autosuggestione.
Brillare incondizionatamente. E in quella luce oro, riconoscere la verità. Diventare verità.
E portare una piccola parte di luce vera nel mondo, lasciandolo un luogo un pochino migliore di come sarebbe stato,
se non fossi mai esistita.
***
Potrei tacere adesso.
Ma il mio umore resta in ombra, e non ho voglia di mentire.
La strada è ancora lunga. Le stelle sono lontane. La mia luce tremola nell’incertezza.
È ancora troppo poco, è sempre troppo poco. Forse non brillerò mai abbastanza. Forse non brillo affatto. E forse non ne vale nemmeno la pena.
Resto ancora nella malinconia, nello smarrimento, confusione, irritazione. Sono arrabbiata, e triste e stanca. Non è tempo di rinascere.
Ho bisogno della mia oscurità. Volto la faccia al lume. Mi arrendo al buio.
Non sento nulla, e va bene così.
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