Parte II - Labirinti e percorsi
Avrei sempre voluto percorrere un sentiero sacerdotale sul sacro femminino, uno di quelli più profondi e veri, credevo di aver trovato – e in parte è così – la mia vera strada, ma ho dovuto per forza discostarmene quel tanto che bastava per ricominciare a camminarla da sola. Mentre cammino, però, resto sempre affascinata, almeno a primo impatto, dalla moltitudine di percorsi che nascono ogni giorno su questi argomenti… eppure so che non mi appartengono. Alla mia domanda, ci credo davvero?, la risposta è sempre la stessa. No. Non ci credo.
Li rispetto, ma se li ascolto li sento troppo lontani da quella via che sento mia, che si muove lungo strade perlopiù non tracciate – a volte le intravedo, altre volte sono io stessa a camminarle per prima e forse unica – e che purtroppo non è facilitato da nessuno. Tanti percorsi istintivamente mi appaiono simili a dei labirinti, che portano a muoversi all’interno dei loro meandri, e a perdersi. Non si tratta infatti dei labirinti antichi fatti di camminamenti circolari o spiraliformi che portano ad un centro, ma di quei labirinti fatti di vicoli ciechi in cui ci si smarrisce e nei quali l’unica soluzione per sopravvivere è trovare la via d’uscita e fuggire lontano.
Invece di semplificare e togliere – l’azione sacra insita nella simbologia della spogliazione – mettono e complicano, personificano continuamente le divinità togliendo spazio alla loro essenza impersonale e libera, attribuiscono caratteristiche e caratteri, aspetti, addirittura volontà e preferenze, senza vedere che tutto questo è illusione: perché al di là del velo, l’ultimo velo, nulla di tutto ciò che crea la mente umana esiste più, nulla di ciò che l’immaginazione genera per dar forma al divino esiste davvero.
Sono più che convinta che in passato ci sia stata/o chi ha incontrato certe divinità, manifestate per donare messaggi, ispirazioni, consigli, e spesso chi le ha incontrate le ha raccontate, descritte, e tramandate attraverso certe leggende e certi miti – non tutti, solo alcuni. Ma descrivere ciò che si sperimenta è una cosa, creare mentalmente l’aspetto delle essenze divine, tanto da renderle irriconoscibili rispetto a ciò che sono in natura, non aiuta nessuna/o, e non aiuta soprattutto chi queste divinità vorrebbe conoscerle veramente, piuttosto che essere ad esse devote/i mantenendo una posizione subordinata e servile nei loro confronti.
E per quanto le si ami immensamente, si è certe/i di amare qualcosa che esiste e non qualcosa che si ha creato su misura?
Se mi pongo in ascolto, sento che è tutto molto più semplice, e limpido. Oltre l’ultimo velo vi è un grembo di luce e amore che riempie dentro fino a non lasciare più spazio a nessun ragionamento, a nessun attributo, a nessuna personificazione e personalizzazione. La testa muore, e con essa ogni sua immaginazione. L’anima vive, e l’anima non ha forma, né nome, né attributo che non sia essenza di luce e bellezza e amore. Perché è parte dello spirito della materna Sorgente, e pur essendo sempre diversa e unica, è sempre uguale ad Essa. Ed esiste. Esiste veramente.
Ci credo davvero?
Sì. Ci credo davvero.
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