“Era la sera dell’Epifania, e una fanciulla laboriosa era indaffarata a riordinare, pulire e svolgere tutti i lavori domestici così da ultimarli prima dello scoccare della mezzanotte. Non appena avesse terminato tutto, avrebbe infatti acceso la fiamma per la dea Berchta, offrendole un luogo pulito e luminoso in cui fermarsi durante il suo lungo viaggio notturno. Sapeva che la dama si sarebbe adirata se avesse trovato la casa sporca e disordinata, e soprattutto la fiamma spenta, e lei sperava al contrario nella sua benedizione e nella sua benevolenza, poiché la amava molto.
Il tempo passava e la fanciulla, presa dai pensieri e dai molti impegni, non si accorse che la mezzanotte era trascorsa, e che la notte era divenuta fonda e silenziosa.
A un tratto, la porta della sua casetta si spalancò, e una figura alta e luminosa – talmente luminosa che la giovane non riusciva a guardarla – entrò.
La fanciulla si rese conto che era al cospetto della dea Berchta, e nonostante lo stupore e la meraviglia, si sentì atterrita. Era stata così impegnata a lavorare che non aveva acceso la fiamma.
La dama si avvicinò, mentre la sua luce lentamente si placava, e vedendo la giovane con gli occhi bassi e pieni di lacrime, le sfiorò il volto.
“Perché sei triste, bambina mia?”
“Madre, ho dimenticato di accendere la fiamma per voi.”
“Ne sei proprio sicura?”, chiese la dama con tono gentile.
La fanciulla guardò il cero appoggiato sul tavolo, intatto e con lo stoppino spento.
“Sì Madre, il cero è spento.”
La dama non distolse gli occhi dalla fanciulla.
“Ne sei proprio sicura?”, ripeté.
La giovane non riusciva a capire, continuava a guardare il cero, e a provare rimorso per non averlo acceso.
“Sì Madre, potete vederlo voi stessa”, e indicò il tavolo.
“Eppure”, sorrise la dama continuando a guardare la fanciulla, “qui vedo una fiamma forte e una luce calda. Guardati, bambina mia.”
La fanciulla si guardò, e vide, all’altezza del proprio cuore, una fiamma talmente grande, e forte, e bella, che ne rimase ammaliata. La fiamma ardeva in lei, brillava e pulsava, e più la fanciulla la osservava, più la sentiva, e si rendeva conto che era fatta dello stesso amore, della gioia e dell’armonia che le ardevano dentro ogni giorno, e che lei si curava di nutrire e di mantenere sempre accesi.
“È solo questa la fiamma che cerco e che più di tutte mi onora”, disse Berchta, “e la tua è forte, calda e mai si spegne, nemmeno quando soffia vento di tempesta e il buio è più opprimente.”
La fanciulla sollevò lo sguardo verso il viso della bianca signora e la sua abbagliante bellezza la travolse. Si sentiva accecata dall’amore che emanava, e la fiamma dentro di sé divenne ancora più grande, e forte, e bella.
La dea si chinò e le baciò la fronte.
“Finché la tua fiamma resterà accesa, le tenebre non potranno avanzare, e l’amore, la gioia e l’armonia continueranno a vivere. Non lasciare mai che si spenga, bambina mia.”
“Lo prometto, Madre, lo prometto.”
Berchta sorrise e annuì. La sua luce cominciò a crescere e a brillare talmente forte che la fanciulla dovette coprirsi gli occhi, e quando li riaprì, lei non c’era più. Al suo posto, una luminosa nebbiolina azzurra aleggiò ancora qualche istante nella casa, e posandosi su ogni cosa, la benedì.
Gli inverni trascorsero numerosi, e la fanciulla tenne sempre fede alla sua promessa.
E se altre volte, affaccendata negli impegni della vita, si dimenticò di accendere il cero durante le notti sacre, non mancò mai di nutrire la propria fiamma, che continuò a risplendere, portando la sua parte di luce nel mondo e permettendo all’amore, all’armonia e alla gioia di continuare a vivere.”
Illustrazione di Josie Wren.
Testo di Laura Violet Rimola. Nessuna parte di questo testo può essere riprodotta o utilizzata in alcun modo e con alcun mezzo senza citare il nome dell'autrice e la fonte:
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