Il loro canto della sera è uno dei doni più belli, così come il loro canto del mattino,
vibrato quando è ancora buio ad annunciare l’approssimarsi dell’aurora.
Ogni anno, quando tornano dopo essere stati per diversi mesi nei paesi caldi, conoscono qualche canto in più, qualche gorgheggio diverso, qualche versetto nuovo, che si aggiungono al repertorio.
E ogni anno mi chiedo dove li abbiano imparati, su quale albero fiorito, su quale tegola arrossata, in quale giardino nascosto.
Ascoltarli è come ascoltare la voce di luoghi lontani, nei quali l’inverno è mite e il sole brilla forte e caldo. Per questo gli storni portano il calore e la luce anche nel loro canto.
Sono simboli di rinascita, di fioritura, di luce.
E sono messaggeri di terre lontane.
Nel mito gallese, è lo storno a imparare a memoria le parole della bella Branwen prigioniera e, dopo un lungo viaggio, a ripeterle a suo fratello Bran, che parte per andare a liberarla.
Lo storno porta il messaggio da una terra all’altra, da un mondo all’altro.
Un messaggio di passaggio, di rinnovamento, di speranza. Un messaggio che innesca la liberazione, sia dai rigori dell’inverno sia da uno stato di chiusura e di prigionia nei quali l’anima bianca si trova costretta.
Ma ecco che arriva lo storno, e le energie della liberazione si mettono in movimento. E arrivano ovunque ci sia bisogno di loro.
Che il ritorno degli storni preluda a liberazione e rinascita, soprattutto adesso.
Che il loro canto apra le menti a nuovi livelli di comprensione,
e scaldi i cuori inducendoli a concedere, ad accogliere, a fiorire.
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