domenica 6 giugno 2021

Onorare la Malattia

Durante questo anno e mezzo di pandemia, si ha assistito alle più svariate forme di negazione, di sottovalutazione, di schernimento, di minimizzazione, di mera incoscienza. È più facile negare e fare finta che ciò che succede non ci riguardi, che sia un inganno, addirittura una burla. È molto più difficile guardare in faccia la realtà e venirci a patti, accettando di imparare ciò che ha da insegnarci e diventando davvero più ricche e consapevoli.
Da diversi mesi mi si muoveva dentro la sensazione di qualcosa che non riuscivo a cogliere pienamente, qualcosa di cui riuscivo a intravedere solo brevi frammenti isolati, e che solo negli ultimi giorni si è mostrato completamente. E lo ha fatto ancora una volta grazie a un orixà della tradizione afro-brasiliana. Un orixà che, soprattutto adesso, dovremmo ascoltare – e onorare – tutte e tutti: Obaluayé, chiamato anche Omolu.
Obaluayé è l’orixà delle malattie, è l’orixà della lebbra, della peste, delle febbri, delle epidemie, e quindi delle pandemie. È l’orixà ricoperto di piaghe e di pustole marcescenti, del malessere fisico e interiore, della menomazione, della putrefazione del corpo quando ancora si è in vita. Per questo si potrebbe pensare che sia un’entità disprezzata e denigrata, ma la realtà è che si tratta, sì, di un orixà fra i più temuti, ma anche e soprattutto di uno dei più amati, dei più celebrati e onorati.
Per quale motivo?
Perché la malattia è rispettata. La malattia è riconosciuta, accettata e onorata, nonostante la sofferenza che reca, perché solo così è possibile accogliere anche il suo potere trasformativo e, se possibile, la sua guarigione.
Omolu è infatti colui che incarna e diffonde la malattia, ma è anche colui che la malattia l’ha conosciuta così bene “da diventare Medico” e da usarla “come via di purificazione e di riscatto”. Per questo è appellato anche “il Grande Purificatore”.

Mi è capitato tante volte negli ultimi anni di leggere le riflessioni di alcune amiche che con malattie e problemi fisici hanno a che fare tutti i giorni. Io stessa sono una di queste, anche se non ne parlo volentieri. Tutte loro riescono a cominciare a trasformare la malattia solo nel momento in cui, avendola riconosciuta e accettata veramente, iniziano ad ascoltarla e a renderla non più una nemica da estirpare dal corpo – cosa impossibile – ma quasi una alleata. Una alleata di certo non desiderata, di cui si avrebbe fatto a meno, ma che è lì, presente, e quindi merita comprensione, amore e ascolto.

Tornando al principio della mia riflessione, quello che ho sentito in questo anno e mezzo è stato prima la necessità – Ananke – di accettare la pandemia e imparare a comportarmi, altrettanto necessariamente, in modo da limitarne il più possibile il contatto e i danni; e dopo il rispetto per essa, per il suo potere distruttivo, e al contempo per il potenziale trasformativo che porta con sé.
Ho letto tanto di ciò che è stato scritto in questo lungo periodo, ma un pensiero del tutto controcorrente continuava a sorgermi dentro ogni volta sentivo inveire rabbiosamente contro di essa:
Io non riesco a odiare la malattia, a insultarla, perché il mio rispetto per essa è molto più grande.
La riconosco, la vedo, la temo, osservo da vicino il suo potere mortifero, e per questo la rispetto
.”

Non avevo il coraggio né la voglia di scrivere questi pensieri prima – so come va sempre a finire – ma conoscere Obaluayé e il suo insegnamento così prezioso, oltre alle parole delle amiche e delle conoscenti che hanno imparato, o stanno imparando, a trattare la malattia con ascolto e amore, mi ha ispirata a farlo adesso.
Non porta a niente sputare veleno contro la pandemia, espressione potente e attuale proprio di entità come Omolu; non porta a niente negarla, voltarsi dall’altra parte, o trattarla come se fosse una sciocchezza.
Guardarla in faccia, riconoscendola, rispettandola e arrivando persino a onorarla nel suo devastante potere naturale, è invece ciò che di più difficile si possa fare, e al contempo, è anche ciò che potrebbe richiamare una trasformazione vera e profonda. Ciò di cui non solo noi singole/i, ma tutto il mondo ha realmente bisogno.

***

Io rispetto e onoro coloro che portano in sé una malattia, e che convivono non solo con i limiti che essa impone, ma anche con tutti i profondi insegnamenti che porta con sé quando viene accolta, ascoltata e trattata con amore.
E non posso fare a meno, anche io, di amare l’orixà Obaluayé, che ringrazio per i grandi insegnamenti che ancora trasmette, persino dall’altra parte del mondo.

***

La citazione tra virgolette è tratta da Marcella Punzo, Le grandi madri del Brasile, pag. 85.
Illustrazione di Rovina Cai

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