sabato 30 luglio 2022

La Grande Madre, la Chiamata, il Cammino

Forse tutto ha inizio quando la si immagina per le prime volte, o forse la si sente, e istintivamente la si riconosce. Qualcosa di talmente grande e armonioso e amorevole e vero da aprire il cuore come un fiore sbocciato e completamente offerto.
Lei è natura, natura viva, animata, abitata dal suo spirito immanente.
Lei è albero rigoglioso, ruvida roccia, animale selvatico, torrente che scorre, lago che rifrange, sole che sorge, luna che rischiara, costellazione lucente, morbido filo d’erba, manto di neve, cristallo trasparente. Ogni frammento naturale, puro, è parte di Lei, è la sua manifestazione tangibile, e da Lei è abitata, animata. Ma Lei è molto, molto di più. È l’infinito non manifesto, è l’anima universale, il grembo da cui tutto ha inizio e in cui tutto ha fine – eppure in Lei non vi è fine, ma solo riposo, e rigenerazione.
Quando la si immagina, o la si sente, può nascere un’emozione intensissima, un desiderio struggente di tornare a Lei, di tornare a casa. Un desiderio talmente forte da spingere a cercarla e cercarla e ancora cercarla. Un desiderio illuminante, che è la sua chiamata, e la nostra vocazione.
La vocazione dona l’ispirazione luminosa, e instilla la forza di percorrere la via che risale il corso del fiume e porta alla sorgente nascosta fra le rocce muschiate. La via che permette di rientrare nel grembo divino per tornare all’origine, e al suo amore perenne.
È questa vocazione che dà forma agli infiniti percorsi che tendono a muoversi verso quella materna origine di tutte le cose, verso quella sorgente-grembo dove ritroviamo Lei, e noi stesse/i.
Ma la strada che risale verso la sorgente non è in cima a qualche montagna, è dentro di noi.

Per avvicinarsi alla Grande Madre non basta volerlo, pronunciare preghiere, invocazioni, o celebrare grandi riti e cerimonie. Tutto questo può essere importante e utile per alcune ma completamente trascurabile e inutile per altre. Perché per avvicinarsi veramente alla Grande Madre è essenziale spogliarsi di tutto e tornare a se stesse, all’anima che vibra, respira e illumina dentro. Per avvicinarsi a qualcosa occorre accorciare le distanze, smussare le differenze, sempre di più, e poco a poco ci si scopre più simili a ciò che si cerca, o si sente di esserlo sempre state. Così, avvicinarsi alla Grande Madre significa forse ritrovare e alimentare in se stesse/i le virtù naturali che le appartengono, e che in origine sono anche nostre.
Richiamarle in sé, risvegliarle in sé attraverso la pratica della ricerca della percezione della propria anima pura e naturale, porta ad essere sempre più somiglianti a Lei, a ritrovarla dentro, e a sapere che era sempre stata lì, sin dall’inizio della nostra esistenza.
Ecco che allora si ritrova l’armonia più grande, fatta di amore, bellezza, gioia, e ci si accorge con meraviglia, che siamo abitate da Lei. Che Lei è presente in noi, in quella immensa armonia che ci riempie di amore, gioia, bellezza. E che noi siamo parte di Lei.
E quale grande e prezioso e gioioso incarico hanno coloro che, vissuta e sperimentata più e più volte la ricongiunzione con la Grande Madre dentro se stesse, la comunione con il suo grembo di armonia perfetta, il suo sogno senza inizio e senza fine, possono raccontarlo, ed esserne portavoce nel mondo per chi può ascoltare, e sentire, e riconoscere.

Questa, almeno, è l’aspirazione più grande della via della Grande Madre che, fra le tante, riconosco e pratico io, pur senza avere forse avuto la fortuna di vivere certe esperienze.
Raccontarla ripetutamente, condividendone piccole parti, dà un senso al mio essere qui su questa terra. Nella speranza che sia utile ad altre e altri, alla loro chiamata, al loro cammino, unico e irripetibile.
Illustrazione di Virginia Lee

venerdì 29 luglio 2022

Il concetto antico di Bellezza

Mi sento sempre più innamorata del concetto antico di bellezza. Una bellezza non superficiale o fine a se stessa, ma piena, completa.
In diverse culture antiche il concetto di bellezza era infatti molto diverso da quello che noi intendiamo oggi. Non bastava che qualche cosa fosse bella da vedere, doveva anche essere bella dentro. Per questo si usavano parole che avevano il senso di “bello e buono”.
Per gli antichi greci questa bellezza si esprimeva con le parole kalòs e kagathòs – unione di kai e agathòs – che possono tradursi proprio con bello – kalòs – e buono – kagathòs. La bellezza delle forme doveva essere completata da una morale nobile, da un’anima buona, dunque da una predisposizione naturale – ma sempre allenata – a fare e dare ciò che è buono. Questo ideale non equivale a quello del buonismo moderno, ma è più vicino a ciò che si prova quando si osserva e si assaggia il pane appena sfornato, o si ascolta un canto melodioso. Bello e buono, nutriente, incantevole, che dona gioia e beneficio. Che oltre ad essere bello, fa del bene.
La parola agathòs richiama infatti significati quali benefico, fonte di bene, fortunato, propizio, nobile, valoroso.
Simile è la bellissima parola egizia nefer, ricordata in molti nomi di donne e regine egizie. Il significato di nefer, molto più complesso di quello della parola an, che indicava un concetto di bellezza più legato all’aspetto delle cose, e che significa “ornato, decorato”, “non indicava solo la bellezza estetica, ma anche la perfezione e l’equilibrio” (1). Si può infatti tradurre esattamente con “bella e buona”, e il suo geroglifico appare come un piccolo liuto, strumento musicale che produce una musica dolce e amabile. Chi ascolta il suo suono non può che pensare a quanto piacevole sia ascoltarlo. A quanto sia bello e buono.
Tornando ai greci, elargitrice di una bellezza simile era naturalmente la loro dea più bella, Afrodite nata dal mare, che “aveva come suo principale attributo quello di possedere e saper generosamente donare la xaris, parola greca che significa insieme dolcezza, bellezza, amabilità, armonia, piacevolezza, grazia (…)” derivata dal verbo xairo, “rallegrare, dare gioia.” (2)
Una bellezza anche buona, dunque, perché portatrice di grande beneficio, una bellezza che “fa del bene” ovunque sia presente, quindi viva, piena in se stessa, radiante.

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Questo è il tipo di bellezza che si incontra sempre più spesso quando si percorre la via della Grande Madre, perché aprendosi alle sue manifestazioni più pure e ai suoi mille aspetti di bellezza, non si può fare a meno di sentire quanto questi siano kalòs e kagathos, belli e buoni, e quanto la stessa bellezza sia presente anche nella parte più nascosta di noi stesse.
Trovarla, contemplarla, accrescerla attraverso pensieri e azioni belle e buone, rende sempre più belle nel senso antico del termine. Rende nefer, piacevoli, amabili – ognuna nelle sue innate peculiarità – quanto il suono lontano di un liuto, che vibra le sue corde sotto il cielo stellato.

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1. Citazioni da Massimiliana Pozzi Battaglia e Federica Scatena, Regine, dee e donne nell’antico Egitto, pag. 33.
2. Citazioni da Leda Bearné, Le Vergini arcaiche, pagg. 85, 95.
Dipinto di Kinuko Craft

mercoledì 27 luglio 2022

Le mie castagne

Il castagno te lo lascio?
Assolutamente sì!

Una stretta di mano dopo una amichevole e sorridente conversazione e si conclude l’atto effettivo di acquisto di quelle quattro vecchie mura di sassi che saranno il mio sogno divenuto realtà, dopo tanti, tanti lavori. Un atto ritardato da una clausola noiosa che però adesso è scaduta.
Il gentile venditore, che vi ha tenuto le sue caprette e i cavalli fino a pochi mesi fa, e che mi aveva chiesto solo il favore di poter tagliare un vecchio albero pericolante e di portare via la legna, ha capito che quell’albero, proprio quello, sarebbe invece rimasto dove stava.
È lì, fra il lato nascosto della casa e il ruscello che scorre di fianco al giardino. E lì resterà.
Castagne grandi e nutrienti.
Caldarroste.
Castagne bollite nel latte dolce.
Le mie castagne.

Saranno autunni magnifici.
Fotografia di autrice o autore sconosciuta/o, raccolta da Pinterest.

giovedì 14 luglio 2022

L'Arte dell'Attesa

Una delle arti più nobili è quella dell’attesa, della pazienza, del saper aspettare. Quello che deve arrivare, arriverà, quello che deve tornare, tornerà, non importa quanto tempo ci metterà a farlo, lo farà. Bisogna solo attendere, senza fretta, serenamente.
Saper aspettare non significa infatti domandarsi continuamente quando ciò che si aspetta verrà, provare inquietudine, mancanza, o tormentarsi nell’impazienza.
Significa avere cura che la porta sia aperta, e che il lume sia acceso.
E avere fiducia.
Significa accertarsi, di tanto in tanto, che la porta non si chiuda, che il lume non si spenga. Che non subentri la dimenticanza.
Significa essere pronte ad accogliere ciò che arriva, o ritorna, nel momento in cui è giusto e naturale che lo faccia. Senza cercare di precorrere il tempo, di attirare con insistenza ciò che non è pronto ad arrivare, perché questo non farebbe che ottenere l’effetto contrario, allontanando, respingendo, l’unico vero rischio che ciò che deve arrivare inverta la rotta.
Senza pensarci, senza preoccuparsi, senza forzare la mano.
E ciò che deve arrivare, arriverà. E ciò che deve tornare, tornerà.

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Da tempo faccio esperienza di questa virtù, e negli anni ha portato sempre, sempre, tutto ciò che doveva arrivare, e che con pazienza ho atteso. Mantenendo la porta aperta, vegliando che il lume fosse acceso. E per quanto difficile, senza precorrere il tempo, resistendo all’impazienza degli impulsi – in questo caso controproducenti – e lasciando che le condizioni adatte per l’arrivo, o il ritorno, si creassero da sole.

Colei che fila e tesse non sbaglia,
ma il suo tempo è diverso dalla nostra percezione del tempo.
Il tempo si compie quando è il suo tempo.
Allora, ciò che arriva, o torna, è qui.


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Se ci sono cose che devono arrivare per portare armonia in tutte le sue forme, ci sono anche quelle che arrivano per portare dolore, tristezza, paura. Portano esperienza dell’oscurità, ma non sono fatte per restare.
Non sono fatte per restare.
Allora subentra di nuovo la virtù dell’attesa, nel suo aspetto di veglia armata.
Armata di risolutezza, di protezione, di impassibilità, di fermezza.
Perché occorre spegnere il lume, e chiudere la porta. E accertarsi che restino così.
Senza lasciare che la dimenticanza apra brecce dalle quali non entrerà luce, ma buio.
E senza smettere di vegliare, pur vivendo la propria vita in armonia e spensieratezza.
Allora ciò che non deve più arrivare, ma spesso tenta di farlo, non arriverà. E ciò che non deve tornare, ma spesso tenta di farlo, non tornerà.

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Occorre scegliere bene cosa aspettare, per cosa praticare l’arte dell’attesa.
Mantenendo la porta aperta, e il lume acceso.
E avendo piena fiducia.
Ciò che deve arrivare, arriva. Ciò che deve tornare, torna.
Dipinto di Amanda Clark

martedì 5 luglio 2022

Il Sacro e la Datrice di Sacro

Immergersi nel sacro, fino a specchiarsi nel sacro, perché sacre lo si è diventate. Avvinte al divino, consapevolmente.
La testa con i suoi pensieri tace. Il cuore vibra, l’anima esulta. È lei a parlare. Nel sacro, ogni cosa è vista e compresa con i suoi occhi. Sorride, piena di grazia, chi vive questi attimi, e cerca il ripetersi di questa privilegiata condizione. Sorride piena di grazia, e di bellezza. Quella bellezza che illumina, che emana calore e luce… a volte qualcuno riesce a scorgerla come un alone luminoso attorno a colei che, in quel momento, è avvinta al divino, è sacra.
Immergersi nel sacro, specchiarsi nel sacro, e sacrificarsi – farsi sacra. Essere sacra.
Uno stato dell’essere che esiste e basta, incurante di farsi conoscere dal mondo, ormai privo di alcun desiderio che non sia quello di continuare a vivere nel sacro.

Colei che è consapevolmente sacra, anche solo per certi attimi, può scegliere di portare il sacro attorno a sé. Emanarlo non richiede nulla di più della sua presenza, come una stella radiante, lo emana senza compiere un gesto, senza proferir parola. È presente nel sacro, nel centro di se stessa, piena, raggiante.
Diffondere il sacro più lontano di sé, attraverso il gesto, la parola, la creazione, il rito, è l’atto di portare il sacro, dare il sacro, donarlo agli altri. Essere datrice di sacro. Sacer-dotessa.
Essere sacra, creare il sacro, comunicare il sacro, plasmare le forme del sacro, attingendo da dentro e da attorno, dall’anima radiante nel centro di sé e nella natura animata attorno a sé. In costante simbiosi sottile.
Per rendere un servizio al mondo di immenso valore. Un servizio sacro.

Esperienze che aprono gli occhi interiori alla vita più ampia, priva di limiti – il sacro non ne ha – eppure non semplici da raggiungere. Occorre privarsi di tutto ciò che si pone fra l’ego e l’immersione nuda e aperta nel sacro.
Perché ogni cosa inizia da quel primo passo.

Immergersi nel sacro, fino a specchiarsi…
Ogni giorno un passo in più,
un attimo in più,
un riflesso in più.
Dipinto di Freydoon Rassouli