domenica 20 agosto 2023

Donna d’Anima

Due sere fa, mentre scrivevo e lasciavo scorrere le parole, è affiorato da solo un nome che forse, sopra tutti gli altri e sopra quelli che avrei voluto portare, è ciò che risuona veramente con ciò che sento e ciò che cerco di essere. Sono una donna d’anima.
È umile ma al contempo presuppone il tentativo di compimento di quella via che volge all’interno, alla luce eterea ed eterna che brilla dentro, che ho scelto e sempre cammino, non sempre riuscendoci, ma sempre con pieno amore e dedizione.
Una donna d’anima, che cerca di dare voce all’anima stessa e di portare bellezza attorno a sé.
Come un minuscolo sole, che per quanto fatichi a brillare, esiste.
Esiste. Ed è fatto di anima.
Fotografia di autrice o autore sconosciuta/o.

L’Amore più grande

Quanto ti amo, mia dolce anima. E quanto amo la casa che hai scelto di abitare in questa vita, per quanto imperfetta, e un po’ trascurata.
La amo, perché è così com’è. E perché la abiti tu, che la illumini dall’interno, e rendi tutto lucente e vivo, tu che riempi gli occhi di luce, e che anche quando sei nascosta e seppellita da pensieri e nuvole, scaldi, e brilli, e sai.
Sai, che trovo sempre il modo di tornare da te.

sabato 19 agosto 2023

Di verità assolute e “false profetesse”

Mi sono soffermata su alcune parole che, nonostante la loro apparenza, mi hanno trasmesso un profondo disagio, e ne ho fatto una piccola riflessione.
È vero, siamo circondate/i di ego divinizzati, di persone che pur essendo prive di esperienza spirituale, umile e sincera, si sentono maestre e portavoce del sacro, sono la prima ad affermarlo da parecchio tempo. Ma definirle avversarie, subdole nemiche da cui guardarsi, col timore di essere tentate dai loro tranelli, mi sembra un atteggiamento abbastanza eccessivo, e per nulla consapevole. Addirittura qualcuno le definisce falsi profeti, ritenendo quindi che ve ne siano di veri – e penso di sapere a chi si riferiscano – in un contesto in cui è ritenuto falso e deviante chiunque segua una via diversa dalla propria, creda in qualcosa di diverso, e quindi porti un messaggio diverso.
A volte chi punta il dito contro le false profetesse e i falsi profeti, si atteggia poi a detentrice o detentore di verità assolute infuse dall’alto, addirittura ritiene di poter canalizzare i messaggi di Cristo o di chissà quale altra entità superiore. Di fronte alle adulazioni degli immancabili seguaci non prova disagio, ma pare compiacersi. Questa, a mio parere, è la prima dimostrazione che si tratti proprio di un ego divinizzato, anche parecchio più grande di quelli di cui si lamenta.
Parlare per decreti, sentenze, certezze, lezioni, denunciando costanti complotti, manipolazioni e cecità di coloro che la pensano diversamente, non dimostra saggezza, né libertà e indipendenza, non è frutto di pura ispirazione, e non ha nulla di bello. Fa vivere nella convinzione di essere sempre nel giusto, nella verità assoluta, di fare parte dei buoni, di essere i soliti eletti risvegliati di cui non si può più sentir parlare. Profetesse e profeti, veri ovviamente – ma senza ammetterlo, per falsa modestia – che ti mostrano la vera via, ritenendo false le altre, così come coloro che le camminano.
Ora. Da una parte vorrei dire che è davvero facile farsi ingannare da chi sembra sempre piena/o di certezze e si eleva al di sopra degli altri, screditandoli costantemente, e che è importante farei attenzione a riconoscere indizi e segnali, disseminati fra le parole e i loro intenti, ascoltando l’istinto ed evitando di dare fiducia; dall’altra ammetto di sentirmi fortemente vicina a quelle false profetesse e a quei falsi profeti che danno tanto fastidio, e dei quali è molto probabile che, agli occhi delle suddette persone, farei parte anche io. Perché pur essendo lontana anni luce dagli ego divinizzati di cui io stessa mi lamento, non posso fare a meno di oppormi e contestare loro, la loro presunzione, le loro verità assolute, i loro giudizi.

Questa riflessione comunque mi ha ispirata, perché mi ha ricordato quelle donne scomode e detestate che nei testi biblici vengono definite appunto false profetesse. Loro mi riportano alla bellezza.

Ad essere definita falsa profetessa vi è prima di tutto Jezabel. Regina cananea e sacerdotessa della dea Asherah e del dio Baal, seguace degli antichi culti precedenti l’ebraismo, si rendeva voce del divino al pari dei profeti cristiani. Solo che il suo divino non era il loro.
Era definita falsa profetessa e idolatra perché non era messaggera della parola di dio, ma di quella della dea madre, viva e presente in quelle terre ben prima che lui arrivasse a giudicarle dall’alto dei cieli. Nel ritenerla la più odiata fra tutte le donne bibliche, non credo si possa sbagliare.
Un’altra falsa profetessa sulla quale viene fatto un solo breve riferimento, era Noadia.
Noadia è la profetessa che contrastò il profeta Neemia nella costruzione del tempio di Gerusalemme.
Mio Dio, ricordati di Tobia e di Sanballàt, per queste loro opere, e anche della profetessa Noadia e degli altri profeti che cercavano di spaventarmi!” (Neemia, 6,14)
Il nome Noadia significherebbe tuttavia: “Colei a cui il Signore si è rivelato”. Un concetto curioso per una profetessa che si pone a contrasto di uno dei suoi profeti legittimati.
Infine, una terza falsa profetessa potrebbe essere la misteriosa Pitonessa di Endor. Chiamata anche maga, strega, indovina e negromante di Endor, è l’unica rimasta dopo che Samuele ha bandito dalla sua terra tutti gli altri. Saul deve ricorrere a lei segretamente, senza rivelare la propria identità, quando Yahweh smette di parlargli direttamente. Pertanto le chiede di evocare lo spirito di Samuele perché gli riveli il suo destino. La Pitonessa scopre l’inganno e teme per la propria vita, ma Saul le assicura che non le farà alcun male.
La donna evoca quindi lo spirito di Samuele, e questi predice grandi tormenti e morte a Saul e ai suoi figli.
Nonostante possa rientrare nelle false profetesse, la Pitonessa di Endor è perfettamente in grado di fare ciò per cui è stata cercata. Il suo essere falsa, dunque, non ha nulla a che vedere con le sue abilità, ma evidentemente riguarda solo la sua non appartenenza al popolo di dio.
Lei è l’ultima rimasta su una terra dalla quale le sue simili sono state diffamate e scacciate. Perché su quella terra non vi è posto per chi non segue la parola di dio, non vi è posto per chi pensa in modo diverso, ovvero per chi rappresenta divinità e culti differenti.

False profetesse. In realtà donne sapienti pre-patriarcali, donne di potere e di saggezza, donne che non si rendevano messaggere del padre, ma che rimanevano fedeli alle dee e agli dèi precedenti. Il loro messaggio affondava le radici in una terra più profonda, e chiedeva di non dimenticare, di preservare e proteggere. La loro parola era ormai giudicata deviante, ingannevole, falsa, avversaria, perché diversa e in contrasto con quella ritenuta vera in modo assoluto.
Erano un fastidio da estirpare dalla propria stessa terra, le false profetesse – e con loro i falsi profeti – e di certo anche oggi c’è chi vorrebbe che tacessero. È ciò che auspicano coloro che ritengono se stesse/i vere profetesse e veri profeti, o che credono di conoscerne qualcuno, pertanto ne sono seguaci.
Ma dubito che le false profetesse smetteranno di parlare.
Non lo facevano allora, non lo faranno oggi.

E proprio oggi mi sento di onorare, con amore, le false profetesse.
Non gli ego divinizzati del nostro tempo – che stanno sia da una parte che dall’altra, indistintamente – ma coloro che, ovunque vi sia chi parla per leggi e sentenze, ovunque vi sia chi decide cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, ovunque vi sia chi è convinta/o di essere nella verità assoluta e di trasmettere la voce di dio, continuano a parlare con la propria voce,
a instillare il sacro dubbio,
a portare un messaggio diverso.
Scomodo magari, contrastante. Ma libero.
Illustrazione di Jodeeeart

venerdì 18 agosto 2023

Lampi di gratitudine

Mi sento particolarmente grata, stanotte. Grata e in pace con me stessa e con ciò che mi circonda. Non so se anche ciò che mi circonda sia grato e in pace con me, ma sono grata comunque.
Ancora una volta ho ascoltato, e sentito, e praticato, quello che sussurrava la limpida voce interiore.
E nonostante ciò che si crea e si disgrega, la comprensione e l’incomprensione, la vicinanza e il contrasto, la reazione e le conseguenze di ogni gesto, e tutto ciò che non è alla mia portata, che non dipende da me, e che lascio che sia, ho agito secondo l’intimo sentire. Il mio. E sono grata.
Fotografia di autrice o autore sconosciuta/o.

giovedì 17 agosto 2023

Ogni cosa è cosa viva

Le acque in piena di un fiume, quelle più lente e tranquille dei ruscelli, la forza delle cascate, la freschezza del vento, l’impeto delle tempeste, la rapidità dei fulmini, l’eterna bellezza del mare, il fascino silenzioso delle paludi, la gravità profonda della terra, l’allegria colorata dell’arcobaleno, le stelle che illuminano il cielo, le nuvole che si sciolgono in pioggia: le Iyàmì erano lì, sempre presenti dovunque nella natura, negli elementi, in tutto ciò che ci circondava.
Quella natura, quegli stessi elementi, quella sacra energia non era solo fuori, ma dentro: in ogni persona, in ogni essere vivente.


(Marcella Punzo, Le grandi madri del Brasile, pagg. 187-188)

La mia verità. Non importano i nomi, importa l’essenza.
Si può chiamarlo animismo, ne è la descrizione perfetta, o semplicemente spiritualità nel senso più pieno e profondo della parola. Noi abbiamo bisogno di frammentare, di nominare e umanizzare. Non possiamo farne a meno. Ma credo che in origine ogni cosa fosse unita nella stessa sorgente divina, materna, immensa.
Credo che al di là di qualsiasi religione, di qualsiasi mito, di qualsiasi artificio dell'essere umano, esista questa verità.
Semplice, pura, adamantina.

Ogni cosa è cosa viva.
Fotografia di Nedjat Nuhi

mercoledì 16 agosto 2023

Ewà, l'Arcobaleno della vita

Le mie letture
Le grandi madri del Brasile
Ewà, l’Arcobaleno della vita


Leggere e ascoltare della divinità brasiliana Ewà è come immergersi nei colori, intingervi l’anima e diventarne pennello. Per portare colore e gioia nella vita.
Vita nella vita. Entusiasmo, da en-theos, composto da en, ovvero “in” o “all’interno”, e theos, “dio”. Essere “piene di dio” quindi piene della dea, piene di divinità, divinamente ispirate, lo stato d’animo dell’artista sacra. Di colei – e colui – che plasma il divino presente dentro di sé e lo manifesta nel mondo attraverso la propria arte.

Guardando l’arcobaleno (…) non si poteva dimenticare un’altra Iyàmì meno nota, Ewà, (…) dea del fiume e del lago Yewà, in Nigeria, Orixà dell’arco-iris, (…) Madre della comunicazione tra il cielo e la terra, dei colori e dell’arte, guardiana dei pianeti e degli astri.
L’arcobaleno riflettendosi nell’acqua formava un cerchio completo con l’arco del cielo: Ewà era quell’anello di collegamento tra l’umano e il divino. Apparteneva alla terra e al cielo, all’acqua e alla luce: purificava l’aria. Si diceva che nelle sembianze di serpente circondasse l’Universo, reggendolo e impedendone la disgregazione. La sua danza era sinuosa, (…) ricordava i movimenti del cobra (…). Ewà racchiudeva il mistero dell’eterna rinascita e trasportava con sé tutte le gradazioni di colore.
(…) aveva il dono della veggenza, o talvolta veniva identificata con Oxumaré stesso, che da cobra si trasformava in una ninfa bellissima
.”

Ewà permetteva il continuo passaggio, tra l’Acqua-Materia e l’Acqua-Spirito, rappresentato anche dall’Unione Sacra tra il Serpente maschile e la Ninfa femminile (…). Poiché garantiva quello scambio, lei era l’Orixà dell’arte, della trasformazione, della gioia di vivere: conosceva e sperimentava mostruosità e brutture, ma anche bellezze e meraviglie del creato, come aspetti illusori di un’unica realtà. Era la più misteriosa delle Iyàmì, signora dell’intuizione, Orixà dell’allegria e dei canti, il suo nome significava bellezza e grazia. Responsabile dei mutamenti dell’acqua attraverso tutti i suoi stadi, generava nuvole e pioggia: quando si guardava il cielo e si vedevano le nubi formare molteplici figure, lì stava Ewà.
In tutti i cambiamenti, dai più repentini ai più lenti del regno vegetale e animale, stava lei: era lo sbocciare di una rosa, il bruco che si trasformava in farfalla, l’acqua che diventava ghiaccio, il ghiaccio che diventava acqua. Ewà era la bellezza della vita
.”

(Marcella Punzo, Le grandi madri del Brasile, pagg. 180-181)
Illustrazione di autrice o autore sconosciuta/o.

martedì 15 agosto 2023

Le piume rosse delle donne

Le mie letture
Le grandi madri del Brasile
Le piume rosse delle donne


Oxum aveva trasformato in penne rosse di pappagallo il sangue che gocciolava dal corpo di una sua sacerdotessa. Oxalà allora, padre di tutti gli Orixàs, andò a cercarla per questo miracolo. Si inchinò in segno di rispetto e mise tra i propri capelli una di quelle penne, l’ecodidé, che significava l’abbondanza di discendenti e di frutti della terra, il potere delle donne di generare.
Lui, Orixà del bianco, colore del maschile, accettò solo l’
ecodidé come altro colore, il rosso del femminile, e decise di non separarsene mai: tutte le sacerdotesse avrebbero dovuto portarlo sempre, fin dal primo rito iniziatico, perché quel simbolo apparteneva a tutte le donne.

(Marcella Punzo, Le grandi madri del Brasile, pagg. 169-170)

Mi abbandono a tutta questa bellezza, e mi risveglio, solo un momento… voglio cercare una piuma rossa di pappagallo da indossare. Poiché questo simbolo appartiene a tutte le donne, e a coloro che come sacerdotesse, hanno dedicato il proprio cuore al divino.
Fotografia di autrice o autore sconosciuta/o.

lunedì 7 agosto 2023

Non sento nulla

Non sento nulla. Triste ma vero.
Alcune persone sentono ogni cosa, sempre che sia vero. Prendono in mano una pietra e vanno in estasi, parlano con alberi e animali, fate, folletti e gnomi, e sentono le loro risposte. Così dicono. Io invece non sento nulla. Forse la mia è solo invidia, ma il più delle volte, volente o nolente, non credo a una parola. Annuisco sorridendo, e guardo altrove. Una ragionata diffidenza, un profondo scetticismo, tanta sfiducia trasmessa dalle molte illusioni e delusioni di cui è stata costellata la mia strada fino a oggi. È più forte di me, anche quando lo vorrei, non ci credo. Specialmente davanti alle certezze, alle ferree convinzioni, alle enunciazioni di verità, ogni parola crolla nel vuoto priva di vita, e non mi lascia dentro niente, solo l’ennesima sfiducia, l’ennesima delusione. E una grande tristezza che nasce dalla sensazione di non trovare mai il mio posto nel mondo, una guida da ascoltare, una via già battuta da seguire.
Non fa per te, mi dico. Anche questa volta la strada te la devi battere da sola. Almeno sai in che direzione non andare.
Vado per esclusione, spesso, e provo un senso di sollievo nel riconoscere ciò a cui non appartengo e ciò che non mi appartiene. Buon per te, mi dico, un meandro del labirinto in meno nel quale perderti e dal quale, poi, dover uscire.
Ma ci soffro, anche. Ricordo un giorno lontano in cui, di fronte al mio non sentire né vedere ciò che avrei dovuto – e voluto con tutta me stessa – sentire e vedere, mi è stato detto che evidentemente quella strada non faceva per me. Fai altro, se non senti e non vedi, fai altro, si vede che non è la tua strada.
Con una leggerezza assoluta, lo scopo più grande e profondo della mia vita, la mia stessa vita, veniva gettato via come fosse nulla. Fai altro. Peccato che non esisteva altro, per me.
Quella voce assolutamente autorevole, che riconoscevo come maestra, mi ha piegata. Eppure, dopo lo smarrimento iniziale, non l’ho ascoltata. Un atto di disubbidienza estremamente doloroso, eppure vitale.
Non ho fatto altro. Mi sono impuntata, ho proseguito. Ho ammesso e accettato di non vedere né sentire, mi sono allontanata, e ho proseguito. Al buio, nella nebbia, abbandonando ogni certezza, affidandomi solo a me stessa e a ciò che mi abita dentro. La mia anima. Lei la sento, non sempre, ma la sento. In lei credo. Sarà poco, ma per me è tutto.
Mi sono affidata solo all’amore che proveniva da lei dentro di me, e da colei che chiamo Grande Madre, dentro e attorno a me. Ho ripulito il mio specchio tante e tante volte, fino a riflettere dentro ciò che era fuori e riconoscere fuori ciò che era dentro. Amore, Gioia, Bellezza, Luce. Oro. Loro le sento, in loro credo.
Nelle mie personali illusioni ho comunicato con entità e divinità – inventate dall’essere umano e probabilmente inesistenti – esterne a me. Non ho sentito né visto nulla, ma mi è piaciuto credere che qualche volta mi ascoltassero. Il mio cammino è comunque stato benedetto da molte fortune. Magari alcuni sono stati piccoli doni ricevuti, magari ho semplicemente seminato bene e raccolto meglio. In ogni caso, ho sempre accolto con immensa gratitudine tutto ciò che di buono la vita mi ha dato, affrontando e accettando, seppur a fatica, ciò che mi ha tolto.

Da qualche tempo mi sento persa, il mio specchio è opaco e spento.
Non so più in cosa credere, ho perso ogni fiducia. Fluttuo in un vuoto muto e scomodo. La mia ispirazione tace, queste sono le prime parole che scrivo da settimane. Non sono ispirate, le sto cavando fuori a forza da dentro, una per una. Non sono buone, ma sono mie, mie soltanto, e le tengo in cuore. Ho bisogno di loro.
Lascio le canalizzazioni di flussi cosmici ed esseri di luce ad altre e altri, io non ci credo né mi interessano.
Per tanti anni, in passato, ho desiderato di parlare con voce divina, di avere qualcosa di sacro da insegnare alle altre, di essere datrice di sacro ricevuto e trasmesso, sacerdotessa, ancella e strumento di dee ed entità numinose. Ad oggi sono talmente tante coloro che a proprio modo sostengono di esserlo, che non soltanto non riesco a credere a nessuna/o di loro, ma mi è venuta a noia persino la mia stessa vocazione – e questo non so se riuscirò a perdonarlo.
La strada è troppo affollata, caotica, e di conseguenza, è diventata noiosa e indesiderabile, addirittura ridicola ai miei occhi.
Ognuna/o si crede canale e portavoce di divinità ed esseri superiori… Beate/i loro.
Io parlo per me stessa, è l’unica cosa vera che posso fare, ma nei momenti più fortunati e benedetti, parlo con l’anima. Ispirata da lei soltanto, dalle sue sottili comunicazioni con la bellezza universale, dall’amore che sento e traduco in parole, dall’incanto, il canto interiore, che nasce solo dentro, da noi stesse, e solo dentro può essere udito, compreso e quindi trasmesso. Quello lo sento, qualche volta. In lui credo. Sarà poco, ma per me è tutto.

Nel mio non sentire né vedere, nutro tuttavia una grande ambizione. L’unica che mi resta.
Non essere luna che riflette e ripete la luce di altri, pur restando buia, fredda e vuota.
Ma essere stella. Stella che brilla di luce propria. Propria soltanto. E che non ha bisogno di altro che di se stessa per brillare. Lo sono stata, per qualche istante. L’ho sentito. Ci credo.
Essere stella che di luce si veste e si fa parola. E brillare, brillare tanto forte da abbattere ogni incertezza, da annientare ogni dubbio, da dissolvere ogni illusione e autosuggestione.
Brillare incondizionatamente. E in quella luce oro, riconoscere la verità. Diventare verità.
E portare una piccola parte di luce vera nel mondo, lasciandolo un luogo un pochino migliore di come sarebbe stato,
se non fossi mai esistita.

***

Potrei tacere adesso.
Ma il mio umore resta in ombra, e non ho voglia di mentire.
La strada è ancora lunga. Le stelle sono lontane. La mia luce tremola nell’incertezza.
È ancora troppo poco, è sempre troppo poco. Forse non brillerò mai abbastanza. Forse non brillo affatto. E forse non ne vale nemmeno la pena.
Resto ancora nella malinconia, nello smarrimento, confusione, irritazione. Sono arrabbiata, e triste e stanca. Non è tempo di rinascere.
Ho bisogno della mia oscurità. Volto la faccia al lume. Mi arrendo al buio.
Non sento nulla, e va bene così.
Illustrazione di Caroline Jamhour