mercoledì 12 gennaio 2022

Nel regno della Sibilla

Le mie Letture
Nome non ha
Nel regno della Sibilla Appenninica


Eppure le forre
E le cime e i boschi e le acque
Sono presenti e vivi,
con tutte le creature che vi si celano
.”

Immersa nel dorato sole d’inverno, leggo questo nuovo libro che ad ogni pagina rivela chicche preziose. Il libro, di Loredana Lipperini, si intitola “Nome non ha”, e in forma di breve racconto offre cenni, storie e tradizioni sulla misteriosa Sibilla Appenninica.
Riporto qualche breve citazione che stimola il “sentire incantato”, consigliando caldamente la lettura del testo completo.

***

(…) la grotta esiste, ma qui la Sibilla è dappertutto. In questa chiesa, e in altre chiese, ma non solo.
È nelle gole, sui monti, nei laghi.
Questo è il suo regno,
da quando i tempi erano giovani.


(…) le Sibille non vogliono aver memoria di tutto.
Quel che conta, così si dice di loro, è che parlino con la voce del dio: Viola sa che non è vero. Le parole appartengono alle Sibille, sono sedimenti di tutto quel che hanno visto (…)
.

Questo sono le Sibille. Se la loro parola sembra segreta o difficile, chi la ascolta, e prova a capirla, acquista parte della conoscenza del tutto. Così fecero, con i loro tanti nomi, Pizia, Cassandra, Egeria, Veleda. Tutte coloro di cui si diceva che possedevano l’èntheos, l’ispirazione divina. In realtà sono state loro a possedere il dio. O a sostituirsi a lui.

A volte le Sibille tacciono. Come Angerona, la dea romana che al silenzio presiede e lo spezza solo per profetizzare.

‘(…) Si dice che nella gola dell’Infernaccio danzino le ancelle della Sibilla’.
(…)
‘Ma perché si chiama Infernaccio?’, chiedo.
‘Per il rumore dell’acqua, forse’, dice Michele, ‘Ma prima si chiamava Balleria proprio perché si pensava che le fate venissero a ballare là. (…) la Sibilla le lascia andare, perché le fate amavano molto il ballo e avevano insegnato il saltarello ai giovani umani. I quali un po’ avevano capito che quelle con cui danzavano non erano fanciulle come le altre: perché secondo la leggenda le fate avevano zoccoli al posto dei piedi, che si intravedevano quando le gonne si alzavano nelle giravolte. E infatti qui si dice: ‘Quanto sono belle queste fate, però jè scrocchieno li piedi come le capre’.
La Sibilla, dunque, raccomanda loro di non farsi sorprendere dal sole. Ma a forza di ballare le fate dimenticano la raccomandazione e ai primi raggi di sole devono correre come il vento per tornare alla grotta. E lasciano dietro di loro una scia più chiara, che oggi si chiama Sentiero delle Fate, e scende dal Monte Vettore verso Foce’.


‘Come al solito’, aggiunge Maddalena, ‘i pastori e i viandanti venivano messi in guardia dal pericolo rappresentato dalle fate. Succede sempre così, no? Quando le donne non sono come tu ti aspetti sono pericolose. Quando ballano sotto la luna e quando scelgono con chi ballare (…). Ma le fate scendevano dalla grotta anche per insegnare alle ragazze a filare e tessere la lana (…). Queste storie nascevano per mettere in guardia gli uomini affinché temessero le donne così libere da non poter essere umane, e per ammansire le fanciulle affinché mantenessero il posto che era stato loro assegnato. (...)’ 

***

Brani tratti da Loredana Lipperini ed Elisa Seitzinger, Nome non ha, Hacca Edizioni, 2021, pagg. 12, 29-30, 34-35, 38, 54-55, 56.

***

Guardare dall’alto è un gesto di bellezza. Ti fa capire molte cose. Ti fa capire come la vita sia veloce a passare via, ma restano le montagne, e i fiumi, e i laghi e tutto quello per cui vale la pena di vivere, in fondo. Ed è questo che insegna la Sibilla.

Loredana Lipperini, Nome non ha, Hacca Edizioni, 2021, pag. 57
Illustrazione di Alan Lee
(So che non c'entra nulla perché è celtica, ma mi piace tanto lo stesso)

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