sabato 17 giugno 2023

Ed estate sia

La mitezza di queste giornate, così gentili rispetto a quelle di un anno fa, mi porta ad accogliere con una predisposizione diversa l’arrivo dell’estate, con la sua luce e il suo calore.
So che mi farà stare male, come sempre, e so che ci saranno giornate in cui farò fatica ad alzarmi, a muovermi, a mangiare, e nelle quali mi sentirò in colpa, per non avere forza e resistenza, per non essere più quella che ero tempo fa. So che sopraggiungeranno tristezza e frustrazione, e che dovrò fermarmi e assecondare il mio corpo invece che contrastarlo o pretendere da lui ciò che non può fare, ma accolgo ogni cosa, accolgo l’estate, e come sempre la rispetto. La rispetto, sinceramente.
Vedo la sua lucente ed esuberante bellezza, e la onoro.
Dunque, estate sia. Sia luce e sia calore.
E sia fresca e rigenerante la sera,
con le sue stelle, i suoi grilli, e il canto lontano dell’usignolo.
Fotografia di autrice o autore sconosciuta/o, raccolta da Pinterest.

sabato 10 giugno 2023

Le donne nella Bibbia. La figlia di Jefte

Appunti di ricerca
Le donne nella Bibbia
La Figlia di Jefte


Da alcuni mesi mi sto dedicando allo studio delle donne presenti nella Bibbia, in particolare nell’Antico Testamento, e sto scoprendo poco a poco alcuni rari frammenti di sacro femminino non del tutto inaspettati. Oltre alla bellissima Jezabel, descritta chiaramente come una nemica sia perché regina, sacerdotessa e profetessa della dea madre, sia per via della sua spietatezza – del tutto simile se non inferiore a quella dimostrata dai profeti ebraici – vi sono altre donne, perlopiù ebraiche, che rivelano una forza e una saggezza che sembrano attingere direttamente a quel femminile sacro che prescinde qualsiasi religione e al contempo può emergere in ognuna di esse. Poiché appartiene alla donna e a nessun altro, uomo o dio che sia.
In certi casi inoltre, emergono fra le righe tradizioni e ritualità precedenti la religione monoteista, che restano degne di approfondimento. Fra le donne interessanti anche sotto questo punto di vista vi è una fanciulla senza nome, conosciuta semplicemente come la figlia di Jefte – o Iefte o Jephthah.

La sua storia ha inizio in un periodo in cui gli Israeliti erano oppressi dagli Ammoniti, ai quali erano stati consegnati da Yahweh poiché avevano di nuovo smesso di adorarlo, dedicandosi alle divinità pagane e ai loro culti.
Dopo essersi pentiti di aver abbandonato Yahweh, e averlo pregato di perdonarli, gli Israeliti cercarono un condottiero militare che li guidasse nella guerra contro gli Ammoniti. Scelsero Jefte, il Galaadita, che era capo di un gruppo di banditi, e questi, prima di partire per la battaglia, fece un voto a Yahweh: “Se tu consegnerai nelle mie mani gli Ammoniti, chiunque uscirà per primo dalle porte di casa mia per venirmi incontro, quando tornerò vittorioso dagli Ammoniti, sarà per il Signore e io lo offrirò in olocausto.” (Gdc, 11, 30-31)
Il Libro dei Giudici prosegue così:
Quindi Jefte raggiunse gli Ammoniti per combatterli e il Signore li consegnò nelle sue mani. (…) Poi Jefte tornò a Mispa, a casa sua; ed ecco uscirgli incontro la figlia, con tamburelli e danze. Era l’unica figlia: non aveva altri figli né altre figlie. Appena la vide, si stracciò le vesti e disse: “Figlia mia, tu mi hai rovinato! Anche tu sei con quelli che mi hanno reso infelice! Io ho dato la mia parola al Signore e non posso ritirarmi”. Ella gli disse: “Padre mio, se hai dato la tua parola al Signore, fa’ di me secondo quanto è uscito dalla tua bocca, perché il Signore ti ha concesso vendetta sugli Ammoniti, tuoi nemici”. Poi disse al padre: “Mi sia concesso questo: lasciami libera per due mesi, perché io vada errando per i monti a piangere la mia verginità con le mie compagne”. Egli le rispose: “Va’!”, e la lasciò andare per due mesi. Ella se ne andò con le compagne e pianse sui monti la sua verginità. Alla fine dei due mesi tornò dal padre ed egli compì su di lei il voto che aveva fatto. Ella non aveva conosciuto uomo; di qui venne in Israele questa usanza: le fanciulle d’Israele vanno a piangere la figlia di Jefte il Galaadita, per quattro giorni ogni anno.” (Gdc, 11, 32-40)

Una nota presente nell’edizione corrente della Bibbia di Gerusalemme precisa che la parola “piangere” è talvolta tradotta con “cantare” o con “celebrare”, e aggiunge “il verbo ebraico lascia supporre che si tratta di canti funebri”.
La figlia di Jefte, quindi, accettando un destino non scelto da lei ma dal padre – del resto siamo in piena religione patriarcale – chiede soltanto una cosa: di poter errare per i monti per due mesi, piangendo, o forse cantando o celebrando, la sua verginità, insieme alle sue compagne.
Nel contesto della religione ebraica, precisa la nota al testo biblico, morire senza aver generato figli “era considerata una disgrazia e un disonore per una donna”, ma questa spiegazione non chiarisce del tutto la storia. Alcune interpretazioni vogliono che la figlia di Jefte non fosse stata uccisa, ma offerta a Yahweh perché lo servisse al suo tempio, dedicando a lui la sua verginità. Pertanto il suo pianto sarebbe stato rivolto proprio al suo restare vergine per sempre, non alla sua morte. Altri biblisti tuttavia affermano che il testo debba essere letto come scritto, e che eccessive interpretazioni o edulcorazioni lo altererebbero. Pertanto il sacrificio della figlia Jefte è da intendersi in senso letterale.
In ogni caso, ciò che appare più interessante è la richiesta della figlia di Jefte, il suo errare per i monti per due mesi con le sue compagne, forse portando con sé i tamburelli e danzando, per l’eterna verginità. Questo particolare infatti viene spiegato in questo modo:
Secondo alcuni “la storia della figlia di Jefte serviva a spiegare il costume dei quattro giorni passati ogni anno in montagna dalle figlie di Israele (…). Il rito sarebbe stato la rimanenza di un culto pagano di cui si erano dimenticate le origini’, il che rese necessaria l’invenzione di un “precedente” per spiegarne retroattivamente le cause.
(Cfr. Literary Guide to the Bible, 17; John Baldock, Le donne della Bibbia, pag. 109)

Questa antica tradizione vede quindi delle donne riunirsi da sole sulle montagne per quattro giorni ogni anno, a piangere o cantare, o celebrare la verginità femminile, forse guidate da una figura misteriosa, in seguito divenuta la giovane figlia di Jefte, oppure in onore a lei.
Fra gli studiosi vi è anche chi ipotizza che la storia della figlia di Jefte nasca sul mito di Ifigenia figlia di Agamennone, che venne offerta agli dèi da suo padre per sedare i venti durante la guerra di Troia. Il nome Ifi-genia potrebbe infatti essere all’origine di “figlia di Jefi, o Jefet”, quindi di “figlia di Jefte”, e la similitudine delle due vicende non è da sottovalutare. (Cfr. Filippo Villani, La figlia di Jefte. Studio biblico-storico, in Letture di famiglia, Vol. II, pag. 278)

Da queste poche ma significative informazioni sembra emergere un’usanza femminile antica, fatta di pianti, canti e danze al ritmo dei cembali, che risuonano fra le montagne; un sacrificio che potrebbe comportare una morte oppure una consacrazione al tempio di una divinità pagana prima, ebraica in seguito; e una fanciulla che forse proviene da tempi molto più remoti, che accetta il proprio destino e, in un modo o nell’altro, offre la sua vita per placare i venti o ristabilire la pace.
Un piccolo ma non trascurabile inizio per far riemergere un frammento di sacro femminino, nascosto eppure ancora intuibile.
Dipinto di Alexandre Cabanel

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Fonti bibliografiche parziali:
Baldock John, Le donne della Bibbia. Storie dimenticate di santità, sangue e intrighi, BUR Rizzoli, Milano 2019
La Bibbia di Gerusalemme, EDB, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna, 2009
La Sacra Bibbia, Edizioni Paoline, Roma, 1962
Villani Filippo, La figlia di Jefte. Studio biblico-storico, in AA.VV. Letture di famiglia, Vol. II, Lloyd Austriaco, Trieste, 1853

Ricerca e appunti di Laura Rimola. Nessuna parte di questo testo può essere riprodotta o utilizzata in alcun modo e con alcun mezzo senza il permesso scritto dell’autrice e senza citare la fonte.

giovedì 8 giugno 2023

Il silenzio del pettirosso

Può un uccello smettere di cantare?
Da lungo tempo i pettirossi hanno smesso di cantare di giorno. Ticchettano soltanto, discreti.
Ma riservano i loro canti più melodiosi alla notte. Si dice che si comportino in questo modo perché, disturbati dal troppo rumore diurno, preferiscano stare in silenzio, cantando solo a notte fonda, quando la terra è quieta e addormentata.
La loro voce è fine, e troppo prezioso quello che hanno da dire. Non può essere detto a chiunque, né disperso nel trambusto.

Forse un uccello non può smettere di cantare.
Ma può smettere di farsi ascoltare.
E cantare solo per coloro che, svegli, lo possono ancora sentire.
Fotografia di Sharon C. Macleod

mercoledì 7 giugno 2023

Di radicamento ed elevazione

Restare radicate alla terra, vivere una spiritualità terrigena, è senza dubbio edificante, ma questa strada non credo sia per tutte.
Alcune prediligono per natura la dimensione dell’aria, il passo leggero che la terra sfiora soltanto, l’istinto al volo e la ricerca della luce eterea, impalpabile, interna ed esterna, invisibile agli occhi comuni, eppure visibile quando gli occhi si chiudono.
In quella luce immensa ogni verità è svelata, e qualche volta comprendiamo, per un solo attimo, quanto tempo della nostra preziosa vita abbiamo perso a correre dietro agli inganni della mente e alla materialità.
Durante il percorso sarebbe forse utile praticare anche l’arte del distacco, del rendersi leggere, l’abbandono temporaneo di ciò che trattiene a terra, e quindi lo scioglimento delle radici.
Stare quiete e presenti all’interno di se stesse, ma senza dimenticare di ascendere per osservare dall’alto, e vedere più chiaramente ciò che avviene attorno e dentro.
E cercare con costanza di percepire la luce eterea che abita e al contempo trascende ogni cosa.

Radicarsi, ma con leggerezza.
Elevarsi, ma senza perdersi nella vastità del cielo.
Sciogliere e addensare.

Allora la visione si fa più chiara, completa e incondizionata. Diviene luminosa.
E le radici si fanno più sottili e lievi.
Qualcuna si stacca dal terreno, e comincia a muoversi nel vento, libera.

Del resto a poco servono troppe radici,
quando si impara a dispiegare le ali.

Fotografia di autrice o autore sconosciuta/o.

martedì 6 giugno 2023

Immanente e trascendente

Trascendente, derivazione di trascendere, dal latino transcendere, composto da trans, “al di là” e scandere, “salire”. Trascendere è ciò che sale al di là e al di sopra, che oltrepassa, che ascende e supera, ovvero che si innalza al di sopra delle cose.
Immanente, dal latino immanentem, composto dalla particella in, che indica “interno” e “quiete”, e manentem, participio presente di “rimanere”. Immanente è ciò che è rimane quietamente dentro le cose, che permane all’interno, senza uscire, o passare da una cosa all’altra.

Immanenza e trascendenza, quanti ricordi.
Ricordo lunghe discussioni di tanti anni fa in cui si cercava di spiegare e di capire la natura della “religione pagana” a suon di discorsoni pomposi, e da parte di qualcuno anche parecchio saccenti, nei quali la sentenza imprescindibile era che le divinità erano immanenti, non trascendenti – e guai a chi si azzardava a dire il contrario – e che la trascendenza apparteneva alle religioni monoteiste, in cui la divinità è lontana, inafferrabile e guarda tutto dall’alto.
Ricordo che, senza saperne il motivo, non ero mai stata del tutto in accordo con questa visione, che queste affermazioni volutamente sofisticate e categoriche non mi risuonavano mai del tutto vere, ma che alla fine, per evitare di apparire da meno, le avevo accettate.
Nel corso degli anni ho ripensato a questi concetti, e più li comprendevo e sperimentavo, più sceglievo di stare nel mezzo. Perché io questa netta divisione non l’ho mai percepita, è perché chi allora declamava queste verità universali, col tempo si è spesso dimostrato tutto fuorché infuso di saggezza.
Quel che è certo è che, come sempre, si parla di qualcosa che non si conosce, nonostante quello che si voglia credere e far credere agli altri.

Adesso che riesco a comprendere un pochino meglio ciò che sento, e il significato di queste parole, capisco perché quelle spiegazioni non erano mai state mie.
Quel che credo è che la divisione fra trascendenza e immanenza non esista affatto.
La loro antitesi è una illusione.
Esiste solo per noi, che se non dividiamo, razionalizziamo, interpretiamo, non siamo soddisfatte/i.
Credo, umilmente e senza avere alcuna pretesa di verità, che la dimensione immateriale divina sia troppo vasta e inafferrabile per la nostra mente razionale, e ben al di là dei nostri miseri tentativi di spiegarla. E che per sua stessa natura sia al contempo immanente e trascendente.
Esiste in ogni cosa naturale, e allo stesso tempo esiste al di là di essa, poiché pur facendone parte non ne è mai vincolata.
La dimensione immateriale divina non è assoggettata alla materia. La abita quietamente, permane all’interno come una presenza luminosa, e quando il ciclo vitale finisce, la abbandona, la oltrepassa e continua a esistere, trascendendo forma e sostanza. È libera e non ha limiti.
La divinità esiste a prescindere dal fatto che sia manifesta o meno. E non le importa nulla delle nostre disquisizioni pompose e saccenti che pretendono di parlare al posto suo.
La sua essenza, come un respiro luminoso, è dentro eppure anche sopra, sotto e oltre.
Non si può toccare, ma si può esserne immerse e pervase.
E quando la si trova, la si sente e respira, tutto scompare.
Restano solo gioia e amore infiniti e privi di sostanza.
E un volo infinito nella luce eterea.



Fotografia di autrice o autore sconosciuta/o.