domenica 28 febbraio 2021

La Gioia di stare

Uno dei motivi per cui certe volte mi faccio prendere dall’irritazione e dalla sensazione di scompenso, è il pensiero che mi balza in testa quando guardo le molte – e sempre belle – fotografie di chi esce molto in natura, fa grandi camminate, raggiunge vette e boschi, e vive molto all’aperto.
Il pensiero che mi sorge è che sia giusto, che stare in natura sia giusto, salutare, ispirante, e benefico; che sentire questo istinto a starci il più possibile sia una cosa giusta e bella; ed è tutto assolutamente vero.
Quindi, ed ecco il tarlo, se tutto questo è assolutamente giusto e auspicabile, il fatto che io non lo senta e non ne abbia alcuna necessità, deve per forza essere sbagliato.
Quindi io sono sbagliata. Sono fatta sbagliata. Non sento quello che dovrei sentire.
Non sento quello che è giusto sentire, e che gli altri giustamente sentono, mentre io no.
A maggior ragione, essendo animista, votata alla Grande Madre da sempre, che è l’Anima della natura tutta, deve esserci qualcosa di molto sbagliato in me, se non ho alcuna esigenza di stare in mezzo alla natura, e mi basta la luce armoniosa della mia casa, i miei piccoli spazi di armonia, la mia campagna semplice, piatta, ma luminosa.
E questo pensiero mi lavora dentro, e crea una sorta di cruccio, di nervosismo, di invidia che però è ben strana… perché invidio ciò che in realtà non desidero.
Invidio chi è fatto in un modo che però non è il mio.
Invidio chi è giusta/o, mentre io sono sbagliata… eppure sto bene nell’esserlo.

Oggi, davanti alla miriade di – sempre belle – fotografie di tutte e tutti coloro che si sono immerse/i nella natura, mentre io, come al solito, non ho avuto alcuna esigenza di farlo ed anzi, mi sono fatta un pacifico bagno di sole seduta sul muretto del mio terrazzo, ho cercato di fermare quel pensiero insidioso prima che si annidasse e creasse quel senso di scompenso e leggera invidia, e ho provato a comprenderlo… e una chiara, semplice risposta, è arrivata da sola.
Non siamo tutte/i uguali… è proprio così.
Come gli animali, fra i quali un lupo, un cervo, un orso, che camminano e si spostano molto, non sono uguali a un gatto, che spesso non sente l’esigenza di andare chissà dove per godere dell’armonia naturale di cui è fatto tanto quanto loro, o certi piccoli uccelli, che vivono nei calmi bagliori di un giardino, di un boschetto, e di poco si spostano dal nido; non siamo tutte/i uguali.
E un animale stanziale non si sognerebbe mai di provare invidia per gli animali che si muovono molto e spesso, e di sentirsi sbagliato rispetto a loro.
Perché loro sono giusti quanto lo è lui, non di meno, non di più.
E quindi perché mai io dovrei essere la sbagliata in mezzo alle/ai giuste/i se non provo attrazione per le frequenti camminate nei boschi, se non sento l’esigenza di andare e provo più gioia nello stare, e se mi basta sentire quel piccolo e luminoso giardino interiore, che mi colma di pienezza, senza troppo bisogno di cercare la natura fuori?
Non siamo tutte/i uguali, e non c’è nulla di sbagliato in questo.
Io non sono sbagliata, sono solo fatta diversamente.
Sono un’anima dei piccoli spazi incantati, un’anima che vive del focolare domestico, che si incanta davanti ai giochi degli uccellini – cince, capinere, balie nere, fringuelli, luì piccoli, merli, storni, o semplicissimi passerotti – osservati di nascosto dietro un vetro; che si specchia nella luna, anche se spunta solo dalla finestra, e che si bagna di quella luce dorata che il sole sparge fra le mie mura e si riflette nelle vaste campagne che circondano la mia casa.
Respiro tutto questo, e lo sento vivere dentro di me. E non solo mi basta, ma mi eleva e mi fa provare piccoli, magici momenti di profonda armonia e comunione, o meglio, di vero e proprio sposalizio sacro, con la Grande Madre.
Questo è ciò che sono, questi sono i miei modi, questo è ciò che sento.
E se questo è sbagliato, se tutte/i sono giusti e io sono sbagliata, allora pazienza.
Vorrà dire che sono una sbagliata che pur tuttavia è felice della propria condizione, e che a volte vive nell’assenza di desiderio, immersa nella gioia, nella pienezza,
nella propria natura interiore,
e nel suo modo unico e giusto di essere e di esprimersi.
Illustrazione di Lucy Grossmith

La Luna sdoppiata

La luna appena divenuta calante, brilla proprio al centro della mia finestra, mentre il mio cuore sdoppiato la osserva… la osserva fra i tetti, e la “sente” fra le vette… quelle stesse vette che l’altra sera sembravano coperte da un sottile velo luminoso mentre lei, quasi piena, le benediceva con la sua luce.
Il mio cuore è sdoppiato, eppure è uno solo,
come la luna,
che brilla in luoghi diversi,
ed è sempre se stessa.

Fra i tetti,
e le vette,
benedice la casa.
Quella del cuore,
e quella dell’anima.

***

Ho il cuore colmo, ho paura, qualche dubbio, eppure sono piena di commozione ed euforica attesa…
Ma nella luce della luna ogni pensiero svanisce e il mio cuore brilla e basta… e non ha bisogno di sapere altro.
Illustrazione di Lucy Grossmith

mercoledì 17 febbraio 2021

Abbracciare la Madre

Spesso ci perdiamo così tanto in mille percorsi spirituali, divinità dai mille volti, ruote dell’anno, direzioni, attributi, nomi, simboli, meditazioni, rituali, attribuzioni di titoli e di ruoli… che ci dimentichiamo di innalzarci al di sopra di tutto questo labirinto dagli innumerevoli meandri, per volare ad abbracciare l’immensa e amorevole Madre di ogni cosa, lasciandoci pervadere dall’Amore di quell’abbraccio, sciogliendoci nella morbida, rosea luminosità del suo Grembo, abbandonandoci a Lei completamente, e dimenticando tutto il resto.
E anche se per qualche strano motivo, amiamo perderci nei labirinti, forse è questo il cammino più diretto che porta a Lei.
Affidarsi a quell’abbraccio, cercarlo, richiamarlo, sognarlo, fino a quando non sarà più solo immaginazione, immedesimazione o desiderio.
Fino a quando succederà di abbracciarla veramente, in modi magici e indicibili, ricongiungendoci a Lei e risvegliandoci nel suo Sogno.
E allora tutto sarà chiaro, e di sicuro, non ci perderemo più.
Dipinto di Rassouli

sabato 13 febbraio 2021

Sacerdotesse e Donne-Dee

Ci credo davvero?
Parte IV - Sacerdotesse e Donne-Dee


Per tanto tempo ho creduto che fossero la stessa cosa, ma mi sbagliavo. Solo a volte hanno coinciso – e forse coincidono ancora – quando le sacerdotesse, quelle più antiche, erano anche donne-dee; ma spesso le sacerdotesse nella storia più recente sono state semplicemente donne che si sono poste al servizio di una divinità, che hanno svolto riti e cerimonie precostituite, che hanno mantenuto il tempio e il fuoco sacro, ma che non hanno tuttavia realizzato il risveglio della divinità in se stesse.
Tutto questo è comunque estremamente bello, può essere ciò che si cerca – anche io, per molto tempo l’ho cercato – e può quindi essere abbastanza.
Per molte lo è.
Ma non per tutte.
Ed è giusto che coloro a cui questo non basta sappiano che c’è anche altro rispetto a ciò che viene costantemente proposto – o meglio, propinato. Perché esistono le sacerdotesse al servizio di una divinità, ma sono esistite – e forse qualcuna esiste ancora – anche quelle che la divinità l’hanno incarnata completamente, e che pertanto appartengono più alla sfera della leggenda e del mito che a quella della storia.
Sono le donne-dee, cariche di un potere naturale tanto inimmaginabile quanto reale.
Se penso a queste donne-dee, mi sorge il ricordo delle leggendarie sacerdotesse dell’Ile de Sein, che potevano calmare la tempesta col potere del loro canto, che potevano mutarsi in animali, e sapevano predire il futuro.
Penso alle misteriose Dakini, coloro che “si librano nell’aria”, ovvero sanno volare e sono piene di potere selvaggio e indomabile.
Penso alle donne-corvo di Avalon, che si mutavano in uccelli e volavano in tali forme ovunque volessero.
Leggende, favole, miti non credibili? Oppure racconti di potere?
Coloro che hanno realizzato la divinità dentro di sé, e che hanno acquisito la capacità di distaccarsi dal proprio corpo per “librarsi nell’aria”, mutando forma, imparando ad essere animale, foglia, fiore, ruscello, vento, montagna, e a spostarsi ovunque in un battito di ciglia, sono esistite, che ci si creda o no. E ogni tradizione più antica, in qualsivoglia parte del mondo, le descrive in modi simili, se non perfettamente coincidenti.
Ci credo davvero?
, completamente.
Credo che uno stato d’essere simile sia scritto – e realizzabile in potenza – dentro di noi, se riusciamo a trovare le chiavi giuste per aprire quelle porte segrete oltre le quali tutto è possibile.
E credo anche che nel momento in cui si acquisisce la capacità di liberarsi della propria forma cristallizzata, per innalzarsi al di sopra di noi stesse/i e aprire gli occhi dell’anima davanti alla realtà rivelata – non quella personale, ma quella uguale per tutte/i che esiste al di là delle personali preferenze – ecco che si vede veramente, si torna nel Grembo della Madre, e si realizza, ricordandola, la condizione divina.
Dopo questa fortunata e sublime esperienza, si può discendere nuovamente ad abitare il proprio corpo mortale, si può parlare con la voce della Grande Madre.
La sua voce che emana verità luminosa, parola ispirata, e guarisce.
Allora si è realmente donne-dee, e ogni cosa è possibile.

Per questo c’è differenza fra sacerdotesse al servizio di una dea, e donne-dee che la divinità la realizzano in terra. E se personalmente credo in entrambe, sono le seconde che ho sempre cercato, ed è verso il loro stato d’essere che cammino, per quanto sappia che probabilmente non mi sarà possibile raggiungerlo.
Perché il solo fatto di sapere che esiste, e che quella è la mia vera direzione, dà un senso alla mia vita.

Ci credo davvero?
, con tutta me stessa.
Illustrazione di Anna Speshilova

Le divinità e i loro miti

Ci credo davvero?
Parte III - Le divinità e i loro miti


Credo che molte divinità siano il prodotto di secoli di personificazioni e attribuzioni, che ne hanno dato un aspetto, un carattere, simboli e miti particolari che si sono cristallizzati a tal punto da renderle simili a statue. Immobili, e dunque innaturali, e dunque… inesistenti. Più vengono personificate e particolareggiate, più si allontanano dall’ispirazione primigenia e pura nella quale realmente vivono e rilucono.
Certe divinità, infatti, sono realmente frammenti della amorevole Grande Madre, Sorgente di tutte le cose, e talvolta prendono forma manifesta per mostrarsi a chi è abbastanza limpida/o da poterle vedere e ascoltare.
La loro forma è mutevole, sono tutto e non sono niente, sono effimere, sfuggenti.
A volte appaiono come donne o uomini, altre volte sono animali, piante, donne o uomini in parte animali, donne o uomini in parte alberi o fiori, oppure luci fluttuanti nella notte… sono naturali e non appartengono solo alla Terra – puntino minuscolo nell’Universo – ma al regno delle essenze divine, che è ovunque perché non risponde alle regole del tempo e dello spazio.
Sono parte della Grande Madre che tutto comprende, e a volte fanno da tramite fra noi e Lei. Lei che, come una immensa, luminosissima Luna manda i suoi sottili raggi divini sulla terra, così che questi possano prendere forma e raggiungere quelle anime in cammino in grado di vederli e seguire i loro consigli.
Non serve votarsi a queste divinità o mettersi al loro servizio. Il loro scopo non è quello di essere servite, celebrate, riverite, il loro scopo è quello di innalzare, di alleggerire, di trasformare, così che quelle stesse anime in cammino possano elevarsi e realizzare la loro natura divina, diventando – o tornando ad essere – simili a loro.
E tornando così, nel Grembo della Luna.

Ci credo davvero?
. Ci credo davvero. E questa certezza mi riempie di gioia.

***

E i miti, le leggende, i simboli delle divinità, cosa sono veramente, per me?
Spesso si conosce un mito o una divinità, ci si innamora e ci si vota ad essi. Se votarsi significa offrire amore, questo è una magia reale, un rito sacro che non ha bisogno di altro che di se stesso; ma spesso si tratta di vera e propria adorazione in senso stretto.
I miti, così come le divinità, non sono fatti per essere adorati devotamente, non vogliono che ci si voti ad essi e li si celebri come se fossero qualcosa di esterno e lontano, qualcosa da riverire.
Molti miti, allo stesso modo di certe fiabe e di certe leggende, sono essenzialmente racconti di potere.
Racconti di potere.
E in quanto racconti di potere offrono, in potenza, indizi e insegnamenti che permettono, a chi li ascolta, li comprende e cerca di metterli in pratica, di innalzarsi, di trasformarsi, di superare i propri limiti per accedere a una dimensione interiore più elevata e più vicina al divino stesso.
Onorare un mito non serve a nulla, ripeterlo, inscenarlo, celebrarlo, non serve a nulla, così come riverire una divinità non serve a nulla. Dà un piacere che per molte e molti è abbastanza, perché non desiderano andare oltre. È abbastanza accendere una candela, dire una preghiera, magari fare una meditazione mentale, o praticare un lungo e complicato rituale cerimoniale, e va bene così. Ci si sente a posto. È abbastanza, anzi, si pensa di aver fatto qualcosa di importante. Ci si sente amati e tenuti in palmo di mano da quella stessa divinità… si crede addirittura di agire per essa nel mondo, di avere un compito importante e pregiato, di essere importanti, di essere elette/i.
Eppure tutto questo non serve a niente e a nessuno. Solo al proprio ego, che ne esce pieno di onore e gloria.
Ma quella divinità non la sia ha mai conosciuta veramente, non si ha seguito il suo insegnamento, non si ha accolto e praticato il suo racconto di potere, così da raggiungerla e diventare davvero simile ad essa. E le divinità – quando non sono solo personificazioni del divino create dall’essere umano – è questo che chiedono. Non di essere celebrate e riverite – sono prive di ego, pertanto non richiedono mai reverenza e devozione – ma di essere raggiunte e realizzate dentro se stesse/i. Chiedono che si ricominci a somigliare loro, così che si torni ad essere specchi del divino sulla terra.
E in tutto questo non chiederebbero mai a nessuna/o di diventare qualcosa di diverso e di altro da ciò che è veramente, perché è quel frammento della loro propria essenza che vive dentro di noi che chiedono di trovare e di realizzare. E quando ci si riesce a farlo davvero, si diventa l’espressione più limpida e divina di se stesse/i. Non altro da se stesse/i, ma l’espressione più alta di se stesse/i.
Chi riesce a compiere davvero questa impresa, ovvero realizzare il racconto di potere, non ha più bisogno di altro, e di certo non lo dice in giro, e non se ne vanta. Tutto questo non interessa più.
È nella Gioia.
È nell’Amore.
È nell’Armonia.
È nella Grande Madre.
È nella Luce e Luce emana dentro e fuori di sé.
È nel Tutto, ed è Tutto.

Ci credo davvero?
. Ci credo. E sono in cammino nei miei racconti di potere, nella speranza di realizzarli in questa vita, o nelle prossime.
Illustrazione di Anna Speshilova

Labirinti e percorsi

Ci credo davvero?
Parte II - Labirinti e percorsi


Avrei sempre voluto percorrere un sentiero sacerdotale sul sacro femminino, uno di quelli più profondi e veri, credevo di aver trovato – e in parte è così – la mia vera strada, ma ho dovuto per forza discostarmene quel tanto che bastava per ricominciare a camminarla da sola. Mentre cammino, però, resto sempre affascinata, almeno a primo impatto, dalla moltitudine di percorsi che nascono ogni giorno su questi argomenti… eppure so che non mi appartengono. Alla mia domanda, ci credo davvero?, la risposta è sempre la stessa. No. Non ci credo.
Li rispetto, ma se li ascolto li sento troppo lontani da quella via che sento mia, che si muove lungo strade perlopiù non tracciate – a volte le intravedo, altre volte sono io stessa a camminarle per prima e forse unica – e che purtroppo non è facilitato da nessuno. Tanti percorsi istintivamente mi appaiono simili a dei labirinti, che portano a muoversi all’interno dei loro meandri, e a perdersi. Non si tratta infatti dei labirinti antichi fatti di camminamenti circolari o spiraliformi che portano ad un centro, ma di quei labirinti fatti di vicoli ciechi in cui ci si smarrisce e nei quali l’unica soluzione per sopravvivere è trovare la via d’uscita e fuggire lontano.
Invece di semplificare e togliere – l’azione sacra insita nella simbologia della spogliazione – mettono e complicano, personificano continuamente le divinità togliendo spazio alla loro essenza impersonale e libera, attribuiscono caratteristiche e caratteri, aspetti, addirittura volontà e preferenze, senza vedere che tutto questo è illusione: perché al di là del velo, l’ultimo velo, nulla di tutto ciò che crea la mente umana esiste più, nulla di ciò che l’immaginazione genera per dar forma al divino esiste davvero.
Sono più che convinta che in passato ci sia stata/o chi ha incontrato certe divinità, manifestate per donare messaggi, ispirazioni, consigli, e spesso chi le ha incontrate le ha raccontate, descritte, e tramandate attraverso certe leggende e certi miti – non tutti, solo alcuni. Ma descrivere ciò che si sperimenta è una cosa, creare mentalmente l’aspetto delle essenze divine, tanto da renderle irriconoscibili rispetto a ciò che sono in natura, non aiuta nessuna/o, e non aiuta soprattutto chi queste divinità vorrebbe conoscerle veramente, piuttosto che essere ad esse devote/i mantenendo una posizione subordinata e servile nei loro confronti.
E per quanto le si ami immensamente, si è certe/i di amare qualcosa che esiste e non qualcosa che si ha creato su misura?

Se mi pongo in ascolto, sento che è tutto molto più semplice, e limpido. Oltre l’ultimo velo vi è un grembo di luce e amore che riempie dentro fino a non lasciare più spazio a nessun ragionamento, a nessun attributo, a nessuna personificazione e personalizzazione. La testa muore, e con essa ogni sua immaginazione. L’anima vive, e l’anima non ha forma, né nome, né attributo che non sia essenza di luce e bellezza e amore. Perché è parte dello spirito della materna Sorgente, e pur essendo sempre diversa e unica, è sempre uguale ad Essa. Ed esiste. Esiste veramente.

Ci credo davvero?
. Ci credo davvero.
Illustrazione di Anna Speshilova

Ci credo davvero?

Ci credo davvero?
Parte I


Ho scelto di condividere alcuni pensieri che ho scritto ultimamente, e che ogni tanto mi ripeto, per ricordare la direzione della mia vita quando mi sembra di essermi persa. Di solito li tengo per me, perché fanno parte del mio cammino più personale, però magari a qualcuna possono essere utili per avere una visione diversa rispetto a quelle che vengono proposte e ripetute in continuazione negli ultimi anni riguardo la via del sacro femminino.
Ci sono altre vie, non solo quelle più esposte. Ci sono altri modi di camminare, altre destinazioni verso le quali muoversi.
Senza alcuna pretesa di insegnare qualcosa a qualcuno – se mai mi metterò nella posizione di insegnare qualcosa a qualcuno, sarà quando avrò realizzato pienamente il mio cammino, e dubito che questo possa succedere in questa vita – metto a disposizione solo ciò in cui credo e ciò che sento, quando mi guardo intorno, e quando, invece, guardo dentro me stessa.

***

Ci credo davvero?

Da diversi giorni sto cercando di mettere in luce e di afferrare, di rendere cosciente, ciò che sento e che credo veramente. Sarebbe semplice dire e dirmi che credo nella immensa, amorevole, luminosa Grande Madre, come è sempre stato e come sempre sarà, ma è come ci arrivo di nuovo, dopo spiraleggianti percorsi che mi portano sopra la terra e sotto la terra, dopo aver camminato ancora nell’antico labirinto, che mi porta lontano e vicino dal centro, che devo comprendere e rivelare a me stessa.
Vivo un costante cammino di spogliazione attraverso le soglie poste sul mio sentiero, e ogni volta che arrivo a una di queste soglie, devo abbandonare qualcosa, qualcosa che fino a poco prima credevo necessario, ma che non lo è. Amare molto qualcosa non significa infatti che quel qualcosa sia necessario, non significa crederci fino in fondo, e questi sono i sacrifici che a volte sento essere richiesti.
So che il momento in cui attraverserò l’ultima soglia, quella della morte, tutto ciò in cui ho creduto e a cui mi sono votata in questa vita scomparirà. Sta a me cercare di rendermi il più possibile leggera e libera da schemi mentali e convinzioni mentre mi muovo in quella direzione, rinunciando con coscienza a ciò che non mi serve; rinunciando a ciò in cui credo di credere, in cui mi piacerebbe credere – perché sarebbe tutto più facile – ma in cui in realtà non credo.
Così mi pongo sempre la stessa domanda, e se certe volte la risposta mi rincuora e mi riempie di gioia, altre volte mi lascia stupita e disorientata, perché le certezze crollano, e si formano delle piccole crepe che poi sta a me colmare di luce perché guariscano.
La domanda che mi pongo sempre è la più semplice di tutte: Ci credo davvero?
E la risposta è altrettanto semplice e vera, se arriva dal profondo senza che la testa la filtri e la renda diversa da ciò che è. Sì oppure no. O è sì, o è no.
Se è sì, il mio equilibrio resta costante e anzi, viene rinnovato e fortificato.
Se è no, lo stesso equilibrio crolla o si incrina, e devo ristabilirlo attingendo a ciò in cui credo, a ciò che sento vero al di là di ogni cosa. Quando è no, però, spesso sorgono risposte rivelatorie, intuizioni preziose, e si aprono soglie e sentieri secondari – quelli più nascosti – che non avrei pensato di poter percorrere, e che portano dove realmente voglio andare, in quei luoghi segreti a cui appartengo.

In questi giorni mi ritrovo a sacrificare, o meglio, a trasformare la mia percezione delle molte e tanto amate dee di cui mi sono sempre circondata, e di cui comunque continuerò a circondarmi, anche se in modo diverso. Forse è perché se ne parla troppo e in modi troppo esposti, mentre io prediligo i cammini più nascosti e riservati, ma sono arrivata a un punto in cui la tanto temuta domanda ha bussato con forza al mio cuore, e io ho dovuto ascoltarla e rispondere, mettendo da parte i moti interiori, per accogliere la altrettanto temuta risposta.
Ci credo davvero? In tutte quelle dee che ho sempre amato, io ci credo davvero?
La risposta, che pur tuttavia conoscevo già da molto tempo, è stata comunque un colpo al cuore.
No.
O almeno, non come vengono descritte, onorate e credute da altre e altri.
Illustrazione di Anna Speshilova

venerdì 12 febbraio 2021

Nuvole interiori

Spesso mi guardo intorno e vedo, e riconosco, quanto di ciò che ho sognato, creato e a cui ho dato vita attraverso le parole, sia stato colto da altre e altri, che l’hanno preso e fatto proprio. Mi ha sempre fatto piacere sapere che c’è chi coglie vita e ispirazione da ciò che scrivo e disegno, mi ha sempre fatto piacere quando questo è stato riconosciuto e io, in un modo o nell’altro, sono stata resa partecipe di questo passaggio di ispirazione in ispirazione, di vita in vita. Ma non sono mai riuscita, né ci riesco adesso, a lasciar andare completamente la sensazione data da quei momenti in cui, al contrario, non è stato colto qualcosa, ma è stato sottratto e reso proprio, senza una parola, senza alcun riconoscimento, con avidità, quasi con rabbia. E la rabbia si è infatti manifestata quando quel riconoscimento l’ho chiesto con gentilezza, perché credo che sia sempre dovuto, a me come a chiunque altra/o.
Ci sarà un giorno in cui di me non resterà nulla, solo cenere, solo ricordo, e mi chiedo se in quel giorno qualcuna/o si ricorderà che di alcune piccole cose sacre sono stata fonte… che di certe piccole cose sacre fatte proprie da altre e altri, una parte dell’origine sono stata io. Che qualcosa di bello ho cercato di lasciarlo in questo mondo, anzi, che ho dedicato tutta la vita a lasciare quel qualcosa, qui in questo mondo, perché questo è sempre stato il mio servizio, la mia vocazione, la mia ragion d’essere.
Forse qualcuna o qualcuno lo ricorderà, lo riconoscerà, e regalerà al mio ricordo un sorriso.
Altre e altri invece nasconderanno quel ricordo sotto il tappeto, lo rimuoveranno se ci riusciranno, e si sentiranno ancora più libere/i di prendere – con rabbia – senza riconoscere.
Per me, dopotutto, avrà poca importanza, per un brevissimo istante saprò di aver fatto qualcosa, non abbastanza, ma qualcosa.
E dopotutto, sarà abbastanza.

***

So che ogni tanto torno su questo argomento, e lascio fluire all’esterno quel velo di tristezza che mi imprime dentro. Non fateci caso, lasciatemi andare, lasciatemi fare, volgetevi oltre liberamente, non chiedo nulla, solo di esprimere le mie nuvole interiori.
Illustrazione di Anastasia Suvorova