lunedì 28 febbraio 2022

Una nuova Resistenza

La situazione è già tragica, come lo era quella precedente. Diventa insostenibile quando si incappa in certe prese di posizione, se così le si può chiamare, e nei vaneggiamenti, nelle allucinazioni di chi sceglie ancora una volta di non vedere e non sentire. E non è il fatto di non preoccuparsi di ciò che avviene più lontano da molto più tempo, è la gravità di ciò che accade adesso, perché le minacce sono più pericolose, i rischi più grandi, e vanno a coinvolgere tutti i paesi.
Tempo addietro avevo ascoltato punti di vista molto diversi, ma preferisco ancora seguire il mio istinto e la fiducia in coloro che sento ragionevolmente onesti, e soprattutto in coloro che adesso sono sul campo a raccontare con la loro voce ciò che vedono e sentono intorno a loro. Quanto rispetto, quanta ammirazione per loro: orecchie e occhi che ascoltano e guardano al posto nostro, e raccontano a noi, per noi, la storia reale.
Una vocazione che porta sacrifici, spesso fatali, e che viene comunque seguita col cuore.
Oggi scelgo ancora, come negli ultimi due anni, la loro verità autentica e sperimentata sul campo. E so di essere coerente con me stessa.

In tutto questo, mi innamoro, ancora, della parola magica Resistenza.
Dopo un lungo tempo in cui è stata a mio parere usata in modo sciocco, inappropriato e spesso infantile, oggi recupera il suo vero e potente significato.
Resistenza per i propri valori di vera libertà – un’altra parola abusata che oggi torna ad assumere il suo significato più alto – di indipendenza, di pace.
Resistenza, perché le alternative sono inaccettabili.
Coraggio, perché fino a ieri si usavano le mani per lavorare, accudire, cucinare, ricamare, creare, e oggi le stesse mani imbracciano un’arma senza avere la più pallida idea di come si usi.
Resistenza e coraggio.
E vicinanza anche a coloro che, dall’altra parte del confine, non avrebbero mai voluto tutto questo, e restano sgomenti davanti agli occhi privi di anima di colui che, volenti o nolenti, li comanda.
Sorellanza e Fratellanza fra simili, sostegno oltre i confini.
Unione di intenti, di anime, di mani, contro il male – che esiste e respira – e il suo gelido volto.

Resistenza. Coraggio.
Vedere, Sentire, Raccontare la realtà.
In cuor mio, solo immenso rispetto.
Fotografia di Sara V. Montoya

venerdì 25 febbraio 2022

Buio e stelle

È notte e ho appena finito di guardare uno speciale su ciò che sta accadendo poco distante da noi. Una brava giornalista gestisce collegamenti e immagini con la fatica di non commuoversi. Lei non può farlo, io sì.
E non riesco a concentrarmi, come intendevo fare, su parole e sentimenti positivi. La fiamma arde, ma è difficile alimentarla con l’intenzione. Eppure è accesa, e fa luce comunque.

Mi chiedo come si possa essere ancora a questo punto, e mi dico che se ci sono persone che brillano di luce propria, ve ne sono anche di talmente oscure, abbiette e disgustose da non avere speranza. Nessuna speranza. Né adesso né dopo.
A volte penso che mi piacerebbe vedere in quali e quanti modi pagheranno per i propri errori, in questa vita od oltre di essa.

Il vento sferza forte stanotte, sbatte le persiane, piega i rami degli alberi.
Vento di cambiamenti, luna calante, buio.

Penso a una parola magica, e mi sovviene soltanto questa: empatia.
Dal greco en, ovvero “dentro, interiore”, e pathos, interpretato come “sentimento”, ma in realtà anche e soprattutto “patimento, sofferenza”. È una parola che spesso descrive la capacità di immedesimarsi negli altri e di comprenderne profondamente i sentimenti, siano essi piacevoli o tristi.
Ma più in origine significa “sentire dentro” la “sofferenza” di altri, essere in grado di patire lo stesso dolore, di provare dentro la stessa sofferenza. E quindi di comprendere a fondo, come se il dolore fosse anche proprio.

Forse, dopotutto, quando mancano le parole, mantenere la fiamma accesa,
focolare dell’empatia e della compassione, è anche questo.

***

Sono vicina a coloro che soffrono. E a coloro che, dall’interno, raccontano a noi la loro sofferenza, e la propria. Grandi anime forgiate come il ferro, armate di penna, taccuini e piccole telecamere.
Non volto la faccia come è facile fare.
Scelgo di guardare la realtà, e di sentirla, anche se fa male.
Anche se adesso ho la nausea per ciò che ho visto.

Non mi interessano le motivazioni, non mi interessano le strategie, non mi interessano le dietrologie, non mi interessano le saccenti teorie delle grandi esperte e dei grandi esperti – spesso improvvisati – di geopolitica. Non mi interessa ciò che hanno da dire e, sempre, da contestare.
Facessero silenzio, per una volta, sarebbe un dono per il mondo intero. Silenzio. E rispetto.

Guardo ciò che accade, riconosco il gelido volto del male. I suoi occhi, che mi aprono una voragine dentro.
E sono vicina a coloro che soffrono.
Empatia. Compassione. Amore.

***

Stanotte cedo alla tristezza, al pianto, alla rabbia.
Eppure, è quando è più buia la notte che brillano più forte le stelle.
Illustrazione di Ronan Lynam

giovedì 24 febbraio 2022

La bellezza nelle pietre

Qualche giorno fa, aprendo un cioccolatino, ho trovato una frase che mi ha toccato il cuore. Allora l’avevo interpretata in modo personale, un modo legato al mio cammino, alla mia vocazione e ai progetti che sto tessendo e costruendo.
Oggi però ha un senso diverso e voglio condividerla, perché fa parte di quella fiamma, e dei suoi infiniti riflessi, che brillano nel mondo portando luce e speranza.

Puoi costruire qualcosa di bello anche con le pietre che trovi sul tuo cammino.”
W. Goethe

È proprio così, perché sono quelle stesse pietre, siano esse come sassi trasportati dalle correnti, o frammenti polverosi – dolorosi – di ciò che è crollato e che non esiste più, la materia prima per creare nuova bellezza.
Una bellezza accogliente, gentile, morbida, amorevole.
Fotografia di A Clothes Horse.

La tempesta e il potere delle parole

Come era prevedibile, la tempesta è infine arrivata, proprio nel momento in cui si cominciava a lasciarsi dietro le spalle la precedente. Una tempesta spietata, la prima, ma senza alcuna colpa. Una tempesta spietata, la seconda, con tutte le colpe possibili, immaginabili e inimmaginabili.
In questo momento, insieme e al fianco di coloro che sono sorelle e maestre, accendo la fiamma e porto luce.
Raccolgo ancora, e ancora, le parole sacre e magiche, e le pronuncio con intenzione, sentendo vibrare la loro vita nel cuore, nel pensiero, nella voce.
Amore. Gentilezza. Cura. Comprensione. Armonia. Presenza.

È difficile pronunciare la parola Bellezza, oggi, ma è importante trovarla comunque, attorno a sé, e lasciare che parli. Del resto si dice che sarà la bellezza a salvare il mondo.
Ed è difficile pronunciare la parola Gioia, oggi, ma la Gioia è come un sole che splende e rischiara dentro, anche quando spessi e bui strati di nuvole e di fumo lo coprono. Anche quando cala la notte. Lei c’è, e cercandola, sentendola e preservandola dentro, si porterà la sua luce nel mondo.

La rabbia vorrebbe parlare attraverso le mie parole, scalpita per dire la sua.
Ma con fatica scelgo di non darle voce. Non qui, non adesso.
Per quanto sia naturale e sacra, ce n’è troppa, e qui e ora c’è bisogno di altro.

Amore. Gentilezza. Cura. Comprensione. Armonia. Presenza.
Bellezza.
Gioia.

Come scrivevo al mio tempio qualche notte fa:
La fiamma arde luminosa nonostante l’oscurità e la tempesta in arrivo.
Qualunque essa sia, non intaccherà la fiamma, essa è sicura e mai si spegne
.
Fotofragia di autrice o autore sconosciuta/o, raccolta da Pinterest.

venerdì 4 febbraio 2022

Il bagno di Melusina. Il sabato della femmina selvaggia

Le mie letture
Il bagno di Melusina
Il sabato della femmina selvaggia


Nella storia di Melusina, uno dei particolari più importanti ed emblematici riguarda il giorno in cui la dama si apparta, sparisce dalla corte, evita la compagnia, e si reca in un luogo che nessuno ha mai visto né deve conoscere.
Questo luogo è una stanza con una grande vasca, dove la fata assume finalmente le sue sembianze di donna serpente, e fa il bagno.
Il particolare momento è descritto quando Melusina viene tradita da Raimondo, che, indotto dalle invidie del fratello, che instilla in lui il dubbio che la moglie lo tradisca, infrange il giuramento di non cercarla né vederla durante il sabato.

Raimondo, ferito di collera e gelosia (…) si recò nel posto dove sapeva che Melusina andava ogni sabato. Si trovò di fronte a una porta di ferro spessa e robusta, non era mai stato in quel posto. Estrasse la spada e tanto fece che riuscì ad aprire un pertugio, guardandovi dentro. Vide Melusina dentro una grande vasca di marmo con dei gradini che vi scendevano. La vasca aveva un perimetro di quindici piedi e tutto intorno vi erano delle corsie di cinque piedi di larghezza. Melusina stava nella vasca immersa fino all’ombelico con aspetto di donna mentre si pettinava i capelli, ma dall’ombelico in giù aveva forma di serpente e sbatteva l’acqua con tale forza che gli spruzzi salivano fino al soffitto. Raimondo provò un tuffo al cuore che nessun altro avrebbe potuto sopportare.
‘Ah, amore mio – disse – vi ho tradito per vile esortazione di mio fratello e così ho mancato al mio voto di fiducia.’


In realtà, Melusina resta accanto a Raimondo ancora per qualche tempo. Lui serba il segreto di averla spiata, e lei, pur sapendolo, non proferisce parola.
Tuttavia sarà nel momento in cui Raimondo rinfaccerà a Melusina di essere un “falso serpente” che ha partorito solo dei figli sciagurati, e lo farà davanti a tutti, che lei non potrà più fare altro che andarsene, volando via da un’alta finestra in forma di grossa serpe alata. La descrizione del suo addio è molto triste.

Ciò che colpisce di più è la descrizione di Melusina, quando durante il suo bagno, sbatte l’acqua della vasca con la sua coda di serpente con tale forza da farla schizzare fino al soffitto. Il suo potere selvaggio è incontenibile, e si scatena – perché necessita di essere lasciato libero di manifestarsi in tutta la sua forza – quando lei è sola, libera, durante quell’unico giorno della settimana che le è concesso, e che forse le è necessario perché sopravviva in veste umana.
Questo è il giorno in cui la donna riprende la sua natura divina originaria, selvatica, incontenibile, indomabile; si radica nuovamente in essa, e solo in un secondo momento è pronta a tornare alla sua vita umana, alla corte delle genti comuni.

Prendendo il mito di Melusina non come semplice leggenda, ma come racconto di potere – un racconto simbolico ma potenzialmente realizzabile qui e ora, nella nostra vita attuale – dovremmo chiederci se ci concediamo abbastanza “sabati” per appartarci, sparire dalle corti, evitare le compagnie e lasciar libera di manifestarsi la nostra parte più nascosta, selvaggia e vicina al divino.
Questo non significa per forza fare un bagno sbattendo le gambe nell’acqua e facendola schizzare fino al soffitto – a meno che non si necessiti proprio di questo – ma vivere e lasciar uscire la nostra natura più pura e profonda, qualunque essa sia.
La donna ha necessità di vivere il proprio giorno. Che si tratti del sabato, del giovedì – giorni tradizionalmente associati alle streghe – o di qualsiasi altro giorno non ha alcuna importanza; ciò che importa è che se li conceda, sempre.
Nello specifico, non dovrebbero mai esistere relazioni nelle quali l’uomo non comprende o non permetta alla donna di passare del tempo sola con se stessa, senza rendere conto, a lui come a chiunque altro – di ciò che fa o non fa.
La donna stessa non dovrebbe mai accettare questi compromessi, perché a perdere è sempre e soltanto lei.
Non solo, a volte un giorno solo non basta, ce ne vogliono molti, o periodi interi in cui la donna resta sola con la propria stessa natura selvaggia, e impara a viverla pienamente, senza essere disturbata, senza distrazioni o intrusioni. In questo modo può conoscere se stessa e le sue potenzialità divine, sempre di più, così da trasformarsi, prendere coscienza di quei frammenti ferini che le sono propri, lavarsi via di dosso regole, abitudini e doveri imposti dal mondo comune, per poi tornarvi nuovamente, più bella e integra di prima.

Sono necessità sacre e imprescindibili, e dovremmo sempre chiederci:
Ci concediamo abbastanza “sabati” nei quali tornare ad essere indomite serpentesse?
Se la risposta è no, questo è il momento di cominciare a farlo, e di essere generose con noi stesse, concedendoci settimane intere se serve, perché la nostra natura selvaggia ne ha bisogno, e lei viene prima di tutto il resto.

E nel caso in cui si viva una relazione col maschile:
Permettiamo – noi – all’uomo di limitarci in questa sacra necessità, o di tradirla ripetutamente?
Se la risposta è sì, è ora di cambiare e di ristabilire le nostre regole.
È ora di riprendere il nostro spazio, di allargarne i confini – per stare più comode – senza permettere che vengano oltrepassati, e quindi di ritrovare, ogni volta possibile, la preziosa opportunità di stare sole,
a dialogare con il serpente,
e a giocare con il nostro sacro potere.

***

Il brano citato è tratto da Jean d’Arras, La leggenda della fata Melusina. Storie del castello di Lusignano, a cura di Vittorio Fincati, Edizioni Studio Tesi, Roma, 2020, pag. 143.

Illustrazione di Ixel

giovedì 3 febbraio 2022

Melusina, Pressina e l'Isola di Avalon

Le mie letture
La leggenda della fata Melusina
La fata Melusina, Pressina e l’Isola di Avalon


Per il mese del serpente, mi sono immersa finalmente nella lettura della vera storia di Melusina, la fata che ogni sabato, in segreto, si mutava in serpente dalla vita in giù, e che poneva al suo consorte l’unica condizione di non essere mai cercata in quel giorno. Naturalmente, come sempre accade, lui infrange la promessa, e Melusina è costretta a volare via in forma di serpe, gettando, seppur senza volerlo, il re nella miseria.
Molte/i conoscono la storia di Melusina, ma una delle parti più belle è quella di sua madre e della sua nascita. Melusina è infatti figlia della fata Pressina, ha due sorelle gemelle, e tutte crescono sull’isola di Avalon.

Riporto qualche brano su Pressina e su questa parte così bella e importante della leggenda. I brani sono tratti dalla traduzione italiana del testo di Jean d’Arras, bibliotecario del duca di Berry, che scrisse questa storia nel 1393.

[Re Elinas] fu preso da una gran sete e si volse col cavallo verso la sorgente. Avvicinatosi, sentì una voce che cantava così melodiosamente che non pensò a una voce angelica, bensì alla dolcezza propria di una voce femminile.
(…) Giunto sul posto, scorse la dama più bella e più nobilmente vestita che avesse mai visto in tutta la sua vita. Si fermò e si nascose meglio che poté. La dama cantava come nessuna sirena, fata o ninfa avesse mai cantato. Il re ne fu talmente rapito che perse la cognizione del tempo
.”

‘Se mi volete prendere in moglie col vincolo del matrimonio – disse la dama – e se mi giurate che, se avremo dei figli, voi non assisterete alla loro nascita, vi obbedirò (…).’
In breve, si sposarono e vissero felici. Ma Mataquas li odiava.
Pressina, questo il nome della dama, mise al mondo tre gemelle. La prima ebbe nome Melusina, la seconda Melior e la terza Palestina. Re Elinas non fu presente. Mataquas vide le tre sorellastre, andò da suo padre e gli disse:
‘Sire, madama la regina vi ha dato le più belle figlie che ci siano, una meraviglia’.
Re Elinas, che non si ricordava più della promessa, corse nella camera dove si trovava Pressina. Stava facendo il bagno alle figlie. Vedendole, ne fu così contento che disse:
‘Dio benedica la madre e le figlie’.
‘Re falso – disse Pressina con voce terribile – mancasti di parola. Mal te ne coglierà. Mi hai perso per sempre. Devo andar via. Ma so che è per colpa di tuo figlio Mataquas. Mia sorella, la dama dell’Isola Perduta, mi vendicherà di lui.’
Poi prese le tre figlie e nessuno la rivide mai più.
Pressina se ne andò all’isola di Avalon, l’isola perduta, da cui nessun uomo poteva far ritorno, se non per caso. Vi educò le figlie fino all’età di quindici anni. Tutte le mattine le portava sopra un’alta montagna detta Eleneos, che significa montagna fiorita. Da lassù si scorgeva tutta la terra di Alba
.”

La storia prosegue con la vendetta di Melusina e delle sue sorelle contro il padre, Re Elinas, che viene rinchiuso dentro una montagna.
Pressina ne rimane profondamente addolorata e punisce le figlie in modi diversi.
Il destino di Melusina è quindi imposto da sua madre.

(…) tu e le tue sorelle (…) sarete ben presto scacciate dalla dimora delle ninfe e delle fate, a cui non farete più ritorno. Così ti faccio l’incantesimo che tutti i sabati tu avrai aspetto di serpente dall’ombelico in giù. Ma se troverai un uomo che ti vorrà prendere in sposa e ti prometta che il sabato non ti guarderà mai e non rivelerà il tuo segreto a nessuno, tu vivrai il resto della tua vita come donna vera e morrai di morte umana. Ma se, per caso, tuo marito dovesse guardarti, sappi che tornerai al tuo stato precedente. (…) inoltre apparirai tre giorni prima ogni volta che il castello che tu costruirai e chiamerai col tuo nome cambierà padrone, e anche quando un uomo del tuo casato dovrà morire. Ma nonostante la tua punizione, da te discenderà un nobile lignaggio che darà vita a illustri e grandi imprese.”

Come in molte famiglie antiche di Scozia, Inghilterra e Irlanda, che vantano la propria origine da una fata – o da una selkie – anche Melusina avrebbe dato origine a diversi casati. Dai suoi numerosi figli “sono venuti i Pembroke in Inghilterra, i Cabrières in Aragona, i Sassenage del Delfinato, i la Rochefoucault e i Cadillac, come si legge in antiche cronache.”

***

Una fata serpentessa dunque, Melusina, figlia di una fata, entrambe legate ai sacri veti che devono imporre – per mantenere e manifestare la loro natura selvatica – a chiunque voglia averle come compagne, e al contempo figlie dell’Isola di Avalon, l’Isola Perduta nella quale la misteriosa sorella di Pressina – che sia la stessa Morgana? – si occuperà della vendetta di colui che ha indotto il suo tradimento.
Una tematica affascinante che richiama anche l’antico racconto in versi de La Ponzela Gaia – fanciulla serpentessa figlia di Morgana La Fata – e riporta ad Avalon l’origine delle fate serpente, della loro fortuna, ma anche delle loro fatali punizioni nel momento in cui vengono scacciate, tradite, oltraggiate.
Il loro oltraggio è l’oltraggio alla terra. La conseguenza è sempre, e comunque, la rovina.

***

Nota:

Come le banshee irlandesi, che si diceva apparissero urlando e piangendo poco prima che un componente della famiglia di cui erano protettrici morisse, anche Melusina appare poco prima che uno dei suoi discendenti muoia.

***

I brani citati sono tratti da Jean d’Arras, La leggenda della fata Melusina. Storie del castello di Lusignano, a cura di Vittorio Fincati, Edizioni Studio Tesi, Roma, 2020, pagg. 45, 47-49, 51, 109.

Illustrazione di Natasa Ilincic

mercoledì 2 febbraio 2022

La strada più comune

Quando penso alle Krivapete, le immagino donne forti e sole, pronte a difendere le proprie credenze, valori, ed il proprio modo di essere e stare nella loro realtà. Tanto forti da avere il coraggio di essere diverse, reattive, attente a proteggere la loro individualità, identità, libertà. Donne trasgressive non disponibili al compromesso, non timorose nell’opporsi a leggi o regole estranee al loro sentire profondo. Forse costrette al silenzio, ma è proprio in questo silenzio che emerge la ribellione, la scelta della non assimilazione o dell’osservanza passiva delle regole, della “norma”. Pur nel conflitto interiore, sembra seguano l’obbedienza alle leggi della coscienza, del cuore, e non a quelle degli uomini.
Aldina De Stefano

Quanto sarebbe stato bello camminare, anche questa volta, su strade secondarie, invisibili, nascoste, inaspettate, coperte di foglie e di rami intricati, rifiutando la via percorsa da tutti, quella chiara, battuta, facile da trovare, ben indicata, oltre che vivamente incoraggiata.
Sarebbe stato bello essere ciò che in un modo o nell’altro sono sempre stata: la diversa, l’eretica, la controcorrente, la sovversiva, la ribelle, la krivapeta con i piedi rivolti all’indietro.
Mi sarei sentita orgogliosa di non fare parte di ciò che, fino a poco tempo fa, ho sempre accuratamente evitato, e che il più delle volte disprezzo. Di ciò a cui non appartengo, non sono mai appartenuta né mai apparterrò.
Per questo non è facile per me rientrare, almeno per un tempo relativamente breve, in uno stereotipo che molte e molti considerano docile, ingenuo e obbediente.
Il mio conflitto interiore mi tiene in perenne tensione. Più e più volte devo concentrarmi e trovare il mio centro in ciò che, qui e ora, sento essere giusto. Più volte devo ricordare perché questa volta ho scelto la via semplice. Cerco, guardo, ascolto, e di nuovo compio la stessa scelta, che nasce dalla necessità.
Ma è spiacevole camminare alla luce quando ami la penombra, e riconoscere che alcune di coloro che percorrono strade secondarie sono al contempo più vicine a ciò che tu sei sempre stata, e più lontane da ciò che senti essere giusto e necessario adesso.
Ti senti divisa, e irrequieta.

Forse a volte la via secondaria e inaspettata, per chi ha sempre camminato fra foglie e rami intricati, è proprio quella più ordinaria, quella che si aveva sempre evitato, ma che ad un certo punto diventa l’unica possibile – perché è questo che dicono il cuore e la coscienza.
Forse a volte bisogna accettare quel breve tratto per poi tornare, non appena possibile, nell’invisibile.

Dopotutto, eretica etimologicamente è colei che sceglie, e questo non presuppone la natura della scelta compiuta, nemmeno quando l’eretica diventa colei che sceglie di percorrere, per un attimo, la strada più comune.
Illustrazione di Rovina Cai

Il brano iniziale è tratto da Aldina De Stefano, Le Krivapete delle Valli del Natisone. Un’altra storia, Edizioni Kappa Vu, Udine, 2020, pag. 136.