lunedì 31 ottobre 2022

Di spiriti e amabili mostri

Il sole tramonta immergendosi nella foschia delle campagne silenziose. Il pettirosso ticchetta nascosto fra i rami di rosa canina, fra le bacche scarlatte e le spine appuntite. Un airone bianco appare fra le penombre nebbiose, gettate dalle ultime luci del giorno. Qualcosa sta cambiando.
Il velo si assottiglia e i mondi si incontrano, e si riuniscono.
Le lanterne di rapa e zucca dai volti gentili fanno luce fuori dalle porte e dalle finestre. Richiamano a casa gli spiriti dispersi, invitandoli alla cena silenziosa.
Le zucche ghignanti dai volti terribili, con le fiamme che bruciano dagli occhi e dalla bocca, spaventano e allontanano le entità malevole.
Ogni cosa è al suo posto. Chi deve arrivare arriva, chi deve allontanarsi si allontana.

Non serve avere paura dei mostri che stanotte vagano per le strade.
Non serve scacciare l’orrido e il macabro, per rimanere “elevati e puri”.
Serve prendere confidenza con la paura che abbiamo della morte.
È la paura che genera i mostri.
E farsi mostro, guardandosi allo specchio, aiuta ad affrontarla, ad ascoltarla e a farsela amica.

La morte è un’amica bianca e gentile.
E coloro che sono oltre il velo, spesso hanno solo bisogno di essere ricordati.

***

Cadrò nel banale, ma trovo che una frase sentita ripetere molte, molte volte ultimamente, sia quanto di più adatto a questa notte. Sono sicura di non essere l’unica ad averla a cuore.
Pertanto, felice Notte degli Spiriti “A quelli prima e a quelli dopo, a noi ora e a quelli oltre. Visibili o non visibili, qui ma non qui.

Raccontiamo le loro storie, e le nostre. Ricordiamo.
Abbandoniamo la paura. Abbracciamo i nostri mostri.
Fotografia di autrice o autore sconosciuta/o, raccolta da Pinterest

martedì 11 ottobre 2022

Il dono della Cicogna

Stamattina mi ha dato il buongiorno una splendida cicogna, che volava a formare cerchi quasi sopra la mia casa, contro il sole. Sono abituata a vedere gli ibis, e quelle ali bianche e nere per un attimo mi avevano ingannata. Ma era più grande, il corpo era più cicciotto, le ali avevano le piume esterne bene aperte come tante dita, e il becco era decisamente dritto. Inoltre non ho mai visto gli ibis volare in cerchio. Era proprio una cicogna.
È raro vedere ancora le cicogne, ma ogni tanto qualcuna compare. Credo sia una grande fortuna incontrarne ancora, specialmente vicino a casa.

Facendo un po’ di ricerca sulla cicogna ricordo che la sua simbologia più nota è quella che rimanda alla fertilità e alla prosperità, soprattutto in riferimento alla sfera famigliare, ma scopro che c’è molto di più.
Le cicogne sono uccelli rari, sono portatrici di fortuna, e nell’antichità erano sacre alla dea Era-Giunone, in quanto “epifanie della Grande Madre generatrice di vita, dai molti nomi”.
Rappresenta l’amore materno per le proprie figlie e i propri figli, ma in modo particolare l’amore delle figlie e dei figli per i propri genitori, “quando divengono vecchi e incapaci di procurarsi il cibo”. La cicogna si prende cura di loro, con amore e compassione, e suggerisce di fare lo stesso.
Scrive così Eliano:
Alessandro di Mindo afferma che quando le cicogne arrivano alla vecchiaia si trasferiscono sulle isole dell’Oceano e là mutano il loro aspetto in sembianze umane, ottenendo così una ricompensa per la pietà verso i genitori (…).
Immagino delle splendide cicogne che si mutano in donne alte e dai lunghi capelli, neri con grandi ciocche bianche, e come fanno le stesse cicogne, danzano insieme su un’isola segreta, in mezzo all’Oceano, luogo oltremondano ove si vive nella gioia e nell’armonia, dopo aver completato i propri sacri compiti durante la vita.

Presso gli Egizi la cicogna rappresentava proprio l’amore filiale, e il suo geroglifico simboleggiava una persona che ama la propria madre e il proprio padre, “essa infatti, dopo essere stata allevata dai genitori, non li abbandona, ma rimane con loro fino a quando hanno raggiunto l’estrema vecchiaia e se ne prende cura.
E ancora: “La pietà verso i genitori non poteva non evocare quella verso la divinità come “madre” del genere umano e di ogni essere vivente.” Un uccello maestoso che richiama il profondo legame con le antenate e gli antenati, e che ai miei occhi si concentra in particolare sull’amore e la devozione di una figlia non solo per la propria madre ma anche per la Grande Madre che tutto genera e tutto riaccoglie nel suo grembo.
Amore per la famiglia, ma anche amore e cura per la propria casa. Le cicogne infatti tornano sempre ognuna al proprio nido, anche dopo lunghi viaggi migratori. Proprio il loro nido, grande e costruito su torri, pali della luce, e in genere basi molto alte, mi fa pensare alla cicogna come guardiana, spirito tutelare della casa e di coloro che la abitano.
Non comunica con versi particolari, ma picchietta il becco e danza, questo è il suo parlare.
La cicogna in Oriente rappresentava anche la longevità e la rinascita, così come l’immortalità.
Leggo dal bel libro di Leslie Morrison:
Questo uccello potrebbe preannunciare il momento di ricollegarti alle tue radici ancestrali e ai fondamenti della struttura familiare.” E ancora: “La cicogna detiene l’antica conoscenza delle danze sacre della fertilità, e ci ricorda che tutti abbiamo il potere di danzare i nostri più autentici desideri nella creazione (…).

C’è molto altro ancora, ma mi fermo qui.
Inutile dire quanta profonda affinità senta con questo grande uccello. Un bellissimo e fortunato incontro del quale mi sento molto grata.
Spero che queste notizie siano utili anche ad altre e altri, le ho scritte per me, ma mi piace sempre condividerle.

***

Per la simbologia della cicogna ho attinto ad Alfredo Cattabiani, Volario, Oscar Mondadori; e da Leslie Morrison, Il simbolismo degli uccelli. Saggi con le ali, Edizioni Mediterranee, pagg. 124-126.
Fotografia di autrice o autore sconosciuta/o, raccolta dal web

domenica 9 ottobre 2022

Frammenti di Isobel Gowdie

Le mie letture
Frammenti di Isobel Gowdie


I was in Downie Hill, and got meat there from the Queen of Fairy, more than I could eat. The Queen of Fairy is heavily clothed in white linen, and in white and lemon clothes (…); and the King of Fairy is a brave man, well favoured, and broad-faced (…). There were elf-bulls, routing and skirling up, and down there, and they affrighted me.
Confession of Isobel Gowdie, 1662

(“Ero a Downie Hill e lì ho ricevuto molta carne dalla Regina delle Fate, più di quanta potessi mangiarne. La Regina delle Fate è vestita di lino bianco, e di abiti bianchi e color limone (…); e il Re delle Fate è un uomo coraggioso, ben favorito, e dal viso largo (...). C’erano tori-elfo, che correvano e sfrecciavano su e giù, e mi spaventavano.”)

Isobel Gowdie è una delle presunte streghe più famose in Scozia. Le sue confessioni sono conosciute e analizzate da molte/i studiose/i, per la loro corposità e il loro valore.
Il materiale che la riguarda è estremamente vasto, pertanto porto l’attenzione solo su alcuni dettagli che emergono dalla storia e dalle parole di Isobel.
Isobel Gowdie era una donna scozzese che pare fosse molto bella, e che all’epoca delle sue confessioni doveva avere all’incirca 30 anni. Conosceva bene le tradizioni della sua terra, e si presume potesse essere una sorta di cantastorie nel suo villaggio, per questo si pensa che molto di ciò che lei confessò siano in realtà leggende locali unite in parte alle sue esperienze personali.
Confessò, senza che nessun inquisitore dovesse ricorrere alla tortura, e raccontò di essersi votata al Diavolo diversi anni prima, giurandogli fedeltà mentre teneva una mano sopra la testa e una sotto la pianta del piede.
Faceva parte di una congrega di tredici streghe, ognuna votata come lei al Diavolo, e ognuna di loro aveva un nome speciale che veniva usato segretamente, e che solo loro conoscevano. Alcuni di questi nomi erano Red Reiver (Riverbero Rosso), Swein (Suina), Over-the-Dyke-with-It (Sopra la Diga con Esso), Able-and-Stout (Abile e Robusta), e in altri stravaganti modi ancora.
In nome del Diavolo lei e le sue compagne compirono molte azioni orribili – questo è sempre stato ciò che gli inquisitori volevano sentire dalle presunte streghe, ed è quello che loro spesso raccontavano per farli contenti ed evitare la tortura – come rovinare i raccolti, far ammalare le persone, uccidere, dissotterrare ossa e governare il vento.
Sia Isobel che le sue compagne potevano mutare forma, ognuna nel proprio animale più affine. Isobel si mutava spesso in uccello, in particolare in una taccola dalle piume fuligginose, o in un “kae” – un piccolo pappagallo nordico. Le sue compagne Elspet Chisholme e Maggie Brodie si mutavano in gatti, mentre Isobel More era una lepre.
Il Diavolo, invece poteva assumere la forma di animali diversi, poteva diventare un corvo, o un cervo, o altri animali ancora. Non era solo il capo della congrega di cui Isobel faceva parte, ma anche il loro amante. Faceva loro credere che non esistesse altro dio fuorché egli stesso. Pretendeva assoluta obbedienza, e nel caso in cui loro non avessero realizzato i suoi voleri poteva colpirle o rimproverarle brutalmente.
Nei raduni a cui Isobel partecipò, comparve anche la Regina delle Fate, vestita di un abito bianchissimo, e il Re delle Fate, bello e dall’ampio volto. Attorno a loro vi era abbondanza e gioia, e i tori-elfo – secondo le leggende scozzesi erano tori fatati, più piccoli di quelli normali, con il pelo grigio e le orecchie ritte – correvano liberi.
Durante i banchetti Isobel ricevette molto più cibo e carne di quanti potesse mangiarne, come spesso accadeva nei raduni di molte altre streghe, in tutta Europa, e la presenza della Regina delle Fate era per lei un grande onore.
Si pensa che Isobel e le sue compagne assumessero alcune sostanze che alteravano lo stato di coscienza e provocavano allucinazioni, ma il ripetersi dell’assunzione di certe sostanze avrebbe provocato una mente annebbiata, mentre Isobel, nelle sue confessioni, era brillante e accurata.
Ciò che successe a Isobel dopo le sue confessioni volontarie non è risaputo. Si presume che possa essere stata uccisa come le altre streghe dell’epoca, ma non sono mai state trovate prove in merito, né i documenti del suo processo, che forse non venne mai eseguito.

Di Isobel Gowdie resta la memoria e la ricchezza delle sue confessioni, nelle quali la leggenda si unisce alla realtà, la presunta allucinazione all’esperienza reale e diretta, il mondo visibile a quello invisibile.

***

Le notizie su Isobel Gowdie le ho raccolte e riassunte dal libro Accused. British Witches Throughout History, di Willow Winsham, pagg. 80-90. Sulle visioni di Isobel Gowdie esiste poi un altro libro davvero ricco e prezioso, purtroppo non proprio accessibile a tutte/i, dal titolo The Visions of Isobel Gowdie, di Emma Wilby, per chiunque volesse approfondire l’argomento.
Ringrazio il mio caro amico Alessandro Zabini che me ne aveva parlato, ormai tanti anni fa.
Illustrazione di Julia Jeffrey

martedì 4 ottobre 2022

Di radici e di fantasmi

Scrivere di radici e di fantasmi mi ha fatta riflettere su quanto in realtà queste due realtà siano simili. Entrambi, i fantasmi e le radici, appartengono a un mondo perlopiù invisibile, sotterraneo, e i fantasmi sono sempre ciò che resta di un corpo che giace in seno alla terra, laddove si sviluppano e si avviluppano le radici.
Le radici si nutrono di morte, e la trasformano in vita che cresce e si evolve, che si protrae per toccare le altezze, muovendosi simbolicamente verso ciò che è aereo, sottile, leggero. Impalpabile, come un fantasma.
Radici e fantasmi hanno molte storie da raccontare.
Immagino inquieti fantasmi che emergono dalle vecchie radici umide di un albero morto.
E vagano senza posa. Sussurrano i segreti del sottosuolo, ma nessuno può sentirli.
Accanto a loro restano le radici. Radici che abbracciano, talvolta stringono, o si aprono come le dita di una mano scura e grinzosa. Cercano, afferrano, assorbono.
Per le loro forme contorte spesso paiono creature irrequiete, talvolta raccapriccianti. Del resto, appartengono al regno sotterraneo, all’oscurità, e non sono fatte per essere guardate.
Si nascondono agli occhi, incuranti, e continuano a svolgere le loro segrete trasmutazioni, penetrando il terreno, insinuandosi nelle profondità più recesse, fra vermi e putrefazione.
Quando vengono eradicate sembra quasi che si accartoccino su loro stesse, disturbate dalla luce. Seccano, deperiscono, e diventano la morte di cui altre radici si nutriranno.
Fra le loro braccia nere, i fantasmi riposano e trovano la pace.

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Ho scritto questo brano dopo aver visitato il Museo delle Radici all'interno del Castello di Piovera, e dopo essermi soffermata a lungo sul significato delle radici.
Illustrazione di Barbara Baldi