Limen, dal latino limen –mĭnis, ovvero “soglia”.
Il limen è etimologicamente la soglia, e ne deriva la parola limine, il “varco per cui si entra in un luogo o in un ambiente”.
Il limen è quindi il passaggio, o meglio, la linea di passaggio sulla quale si passa per entrare – piuttosto che per uscire – in un luogo altro.
Materialmente può essere una semplice porta d’ingresso, oppure il principio di un bosco, o di una radura nel cuore di un bosco, di un ambiente diverso da quello da cui si esce. A livello sottile e spirituale è quella linea passando oltre la quale si accede a una percezione diversa, o a una dimensione diversa. È la soglia dell’oltremondo, ma anche la soglia che nell’oltremondo permette a chi è al di là di accedere al mondo comune.
La differenza tra limen e limes è piccola ma importante. Il limes è infatti la linea di confine, il delimitare, ovvero la linea che divide un luogo da un altro, e richiama una fine, una divisione, un termine. Il limen indica invece la soglia che si apre su qualcosa di altro, e richiama il principio, l’inizio, il passaggio, e quindi l’interazione fra le due realtà diverse.
Come scrive Anna Maria Campanale, pur trattando le due parole in un contesto diverso, “se limes viene solitamente, dal punto di vista concettuale, inteso come affine a terminus, limen trova affinità con principium: è la soglia, che consente il passaggio, e dunque può essere condizione di rapporto, incontro, comunicazione. Esclusivo, il limes, inclusivo il limen.”
Laddove il limes segna una differenza e una linea che separa, il limen apre una breccia, una apertura che accoglie e permette il passaggio.
In questa notte magica, letteralmente liminare – che deriva da limen e indica un luogo o un momento in cui si è sulla soglia – prego che vi sia un incontro benefico e amorevole fra tutte le creature. Fra noi, che siamo di qua, e fra gli spiriti e i defunti, che sono di là. Che vi sia un limen per noi, verso di loro, e per loro soprattutto, verso di noi.
Che si possa stare insieme, sulla soglia. Le mani intrecciate, strette fra loro.
I lumi alle finestre, per guidarli a casa. Un piatto caldo o una semplice offerta, per dir loro che li ricordiamo.
In pace, ricongiunzione, amore.
Le citazioni sono tratte da Enciclopedia Treccani e da Anna Maria Campanale, Jura Gentium. Rivista di filosofia del diritto internazionale e della politica globale.
Illustrazione di Tijana Lukovic
martedì 31 ottobre 2023
lunedì 30 ottobre 2023
Il richiamo della strega
Sono passati tanti anni dall’ultima volta che ho pronunciato la parola strega cercando in essa un senso di appartenenza. In certi momenti siamo state una cosa sola, spontaneamente, poi è diventata una aspirazione lontana e sfuggente. Per molto tempo ha lasciato il posto ad altre parole altrettanto amate, forse amate ancora di più, e poi ho chiuso ogni porta a qualsivoglia parola. Non mi sentivo degna di nessuna di esse, ma in realtà ero – e sono – troppo fedele a me stessa e alla mia completa libertà per adattarmi a qualsiasi termine che, in quanto tale, prevede un significato, al quale si deve rispondere e che, per forza di cose, deve essere incarnato.
Non sono nessuno, non sono nulla, ovvero, sono libera di essere qualsiasi cosa.
Cammino il flusso interiore, i moti del cuore e la voce dell’anima, e non esiste termine che possa incatenarmi.
Per tanti anni, quindi, non ho quasi più pensato alla parola strega con un senso di appartenenza, ma ultimamente è tornata forte e irresistibile a chiamare e sussurrare in quei modi che non si possono spiegare.
Le ho chiesto cosa volesse, mi ha risposto che era il momento di tornare insieme.
Mi sono guardata intorno, cercando nuovi libri da studiare, e mi sono sentita spaesata davanti alla loro quantità.
Sono rimasta indietro in questi anni, ho pensato, non so da che parte ricominciare.
Non sei rimasta indietro, mi ha sussurrato la strega, hai camminato in profondità, dentro te stessa, e lo hai fatto a lungo. I libri non servono più.
È il momento di chiuderli e di concederti di riprendere ciò che è già tuo.
Finalmente sei una in te stessa, e hai rotto molte catene. Sei libera, e insieme possiamo esserlo ancora di più.
Tendimi la mano, sono il tuo potere, quello che ti rifiuti di toccare per timore di perdere umiltà.
Onora i tuoi passi, tutti quanti, perché ti hanno portata a ciò che sei adesso.
E adesso, se vuoi, cammineremo di nuovo insieme.
Guardami, ti riconosci?
La guardo, e mi riconosco. È la versione migliore di me, ma non per forza quella più luminosa.
È luce e ombra, e i suoi occhi scintillano.
Va bene, torniamo a camminare insieme, le dico. Ma solo se posso continuare a essere libera, come aria e vento e uccello dalle ali spiegate.
Lei mi sorride.
Non sono nessuno, non sono nulla, ovvero, sono libera di essere qualsiasi cosa.
Cammino il flusso interiore, i moti del cuore e la voce dell’anima, e non esiste termine che possa incatenarmi.
Per tanti anni, quindi, non ho quasi più pensato alla parola strega con un senso di appartenenza, ma ultimamente è tornata forte e irresistibile a chiamare e sussurrare in quei modi che non si possono spiegare.
Le ho chiesto cosa volesse, mi ha risposto che era il momento di tornare insieme.
Mi sono guardata intorno, cercando nuovi libri da studiare, e mi sono sentita spaesata davanti alla loro quantità.
Sono rimasta indietro in questi anni, ho pensato, non so da che parte ricominciare.
Non sei rimasta indietro, mi ha sussurrato la strega, hai camminato in profondità, dentro te stessa, e lo hai fatto a lungo. I libri non servono più.
È il momento di chiuderli e di concederti di riprendere ciò che è già tuo.
Finalmente sei una in te stessa, e hai rotto molte catene. Sei libera, e insieme possiamo esserlo ancora di più.
Tendimi la mano, sono il tuo potere, quello che ti rifiuti di toccare per timore di perdere umiltà.
Onora i tuoi passi, tutti quanti, perché ti hanno portata a ciò che sei adesso.
E adesso, se vuoi, cammineremo di nuovo insieme.
Guardami, ti riconosci?
La guardo, e mi riconosco. È la versione migliore di me, ma non per forza quella più luminosa.
È luce e ombra, e i suoi occhi scintillano.
Va bene, torniamo a camminare insieme, le dico. Ma solo se posso continuare a essere libera, come aria e vento e uccello dalle ali spiegate.
Lei mi sorride.
mercoledì 25 ottobre 2023
Il velo non esiste?
La luna e la nebbia, questa notte.
In alto la luna dal bagliore tenue, attorno, la nebbia dalle dita bianche e umide.
Il velo è qui, davanti ai miei occhi, e la luna lo protegge.
Lo è sempre, qui, in questo periodo dell’anno, come lo è sempre stato anche tradizionalmente, soprattutto nelle nostre alpi, poiché i popoli antichi riconoscevano la sua presenza e sapevano che è nel tempo della nebbia e delle tele di ragno che anche il velo che separa il reame degli spiriti da quello dei vivi è più flebile e sottile. Il tempo in cui sorge la bruma dalla terra umida, velando la vista e i sensi, e le ragnatele volano lente nell’aria perlacea, posandosi come candidi veli fra i rami e sulle campagne deserte.
Qualcuna si chiede se questo velo sia mai esistito agli occhi dei popoli antichi europei. Se non siamo noi ad esserci ingannate, se questa immagine risuoni veramente con il nostro sentire, o se, piuttosto, non sia qualcosa che abbiamo imparato a ripetere a memoria.
Io dico di sì, è vera ai miei occhi e mi risuona a tal punto da farmi credere di averlo percepito forte, anni fa, e di percepirlo anche adesso. Mi risuona così tanto da volerne persino vedere il riflesso in tutti i veli che in questa stagione la natura stende tutt’intorno.
La nebbia, le tele di ragno, la bruma che attutisce e nasconde per poi far ricomparire. Veli, veli ovunque. Ogni cosa è velata, ogni cosa è nascosta eppure presente, non si vede eppure è lì. Talvolta la si può toccare, talaltra quando allunghiamo le dita, è già svanita.
Perché mai dovrei chiedermi se il velo esiste veramente oppure no? Se sia mai esistito per i popoli antichi oppure se sia un’invenzione recente? Perché dovrei pormi l’ennesimo dubbio su una delle cose che più amo, e più sento? Perché disincantare ogni cosa, anche quelle che la natura ci pone davanti agli occhi con una intensità tale da rendersi manifesta e tangibile per noi tutte?
Ognuna è libera di privarsi anche di questa piccola magia quotidiana. Io non lo farò, non questa volta. Il velo che si assottiglia durante la discesa verso la grotta dell’inverno è un’immagine, un simbolo e una percezione sottopelle che amo profondamente, e a cui io non ho intenzione di rinunciare.
E non importa quale sia la mia concezione del mondo, se il velo possa rientrarvi o meno. Se in fondo in fondo ci creda veramente oppure no. Qualche cosa, ogni tanto, può fare a meno dello studio, della documentazione, della analisi critica, della razionalità.
Io voglio continuare a crederci e basta.
Lo prometto, alla luna che protegge,
e alla nebbia, che ora si è fatta più fitta e impenetrabile.
Fotografia di Shawn Hansen
In alto la luna dal bagliore tenue, attorno, la nebbia dalle dita bianche e umide.
Il velo è qui, davanti ai miei occhi, e la luna lo protegge.
Lo è sempre, qui, in questo periodo dell’anno, come lo è sempre stato anche tradizionalmente, soprattutto nelle nostre alpi, poiché i popoli antichi riconoscevano la sua presenza e sapevano che è nel tempo della nebbia e delle tele di ragno che anche il velo che separa il reame degli spiriti da quello dei vivi è più flebile e sottile. Il tempo in cui sorge la bruma dalla terra umida, velando la vista e i sensi, e le ragnatele volano lente nell’aria perlacea, posandosi come candidi veli fra i rami e sulle campagne deserte.
Qualcuna si chiede se questo velo sia mai esistito agli occhi dei popoli antichi europei. Se non siamo noi ad esserci ingannate, se questa immagine risuoni veramente con il nostro sentire, o se, piuttosto, non sia qualcosa che abbiamo imparato a ripetere a memoria.
Io dico di sì, è vera ai miei occhi e mi risuona a tal punto da farmi credere di averlo percepito forte, anni fa, e di percepirlo anche adesso. Mi risuona così tanto da volerne persino vedere il riflesso in tutti i veli che in questa stagione la natura stende tutt’intorno.
La nebbia, le tele di ragno, la bruma che attutisce e nasconde per poi far ricomparire. Veli, veli ovunque. Ogni cosa è velata, ogni cosa è nascosta eppure presente, non si vede eppure è lì. Talvolta la si può toccare, talaltra quando allunghiamo le dita, è già svanita.
Perché mai dovrei chiedermi se il velo esiste veramente oppure no? Se sia mai esistito per i popoli antichi oppure se sia un’invenzione recente? Perché dovrei pormi l’ennesimo dubbio su una delle cose che più amo, e più sento? Perché disincantare ogni cosa, anche quelle che la natura ci pone davanti agli occhi con una intensità tale da rendersi manifesta e tangibile per noi tutte?
Ognuna è libera di privarsi anche di questa piccola magia quotidiana. Io non lo farò, non questa volta. Il velo che si assottiglia durante la discesa verso la grotta dell’inverno è un’immagine, un simbolo e una percezione sottopelle che amo profondamente, e a cui io non ho intenzione di rinunciare.
E non importa quale sia la mia concezione del mondo, se il velo possa rientrarvi o meno. Se in fondo in fondo ci creda veramente oppure no. Qualche cosa, ogni tanto, può fare a meno dello studio, della documentazione, della analisi critica, della razionalità.
Io voglio continuare a crederci e basta.
Lo prometto, alla luna che protegge,
e alla nebbia, che ora si è fatta più fitta e impenetrabile.
lunedì 23 ottobre 2023
La danza delle donne
Le mie letture
Il sussurro del fuoco
La danza delle donne
“Per quanto tempo ballarono così? Non tanto a lungo, ma a loro parve un’eternità, mentre gli uomini, una folla silenziosa, sembravano improvvisamente sobri.
Quale di quei pescatori fu così turbato nel veder ballare la moglie da fiondarsi in casa del reverendo a dirgli di accorrere in fretta perché le donne sembravano sotto l’effetto di un qualche sortilegio?
“Fermate subito questa diavoleria!” Il reverendo Jacobsen piombò come un fulmine sulla spiaggia, con la veste nera che svolazzava come le ali di un cormorano gigante.
Ma era come se le mani delle donne fossero intrecciate l’una con l’altra. Come se non potessero fermarsi neanche se lo avessero voluto. Erano stregate, sì, ma non dal Diavolo, bensì le une dalle altre.”
Anya Bergman, Il sussurro del fuoco, pag. 91-92.
Resto stregata anche io, da queste parole, dalla nostalgia atavica che si agita nel mio ventre, dai ricordi. Ricordi veri, reali, che non posso né voglio raccontare perché certe cose non si potevano dire prima, figuriamoci adesso.
Ma sono dentro di me, vivi. In me hanno preservato una sacralità e una purezza intoccabili. E nessuno potrà mai togliermeli o profanarli. Rivivranno, un giorno. È una promessa.
Non lascerò questa vita e questo corpo prima di averli visti rinascere dalle loro stessi ceneri.
Illustrazione di autrice o autore sconosciuta/o.
Il sussurro del fuoco
La danza delle donne
“Per quanto tempo ballarono così? Non tanto a lungo, ma a loro parve un’eternità, mentre gli uomini, una folla silenziosa, sembravano improvvisamente sobri.
Quale di quei pescatori fu così turbato nel veder ballare la moglie da fiondarsi in casa del reverendo a dirgli di accorrere in fretta perché le donne sembravano sotto l’effetto di un qualche sortilegio?
“Fermate subito questa diavoleria!” Il reverendo Jacobsen piombò come un fulmine sulla spiaggia, con la veste nera che svolazzava come le ali di un cormorano gigante.
Ma era come se le mani delle donne fossero intrecciate l’una con l’altra. Come se non potessero fermarsi neanche se lo avessero voluto. Erano stregate, sì, ma non dal Diavolo, bensì le une dalle altre.”
Anya Bergman, Il sussurro del fuoco, pag. 91-92.
Resto stregata anche io, da queste parole, dalla nostalgia atavica che si agita nel mio ventre, dai ricordi. Ricordi veri, reali, che non posso né voglio raccontare perché certe cose non si potevano dire prima, figuriamoci adesso.
Ma sono dentro di me, vivi. In me hanno preservato una sacralità e una purezza intoccabili. E nessuno potrà mai togliermeli o profanarli. Rivivranno, un giorno. È una promessa.
Non lascerò questa vita e questo corpo prima di averli visti rinascere dalle loro stessi ceneri.
sabato 21 ottobre 2023
La figlia dell'eretica
Le mie letture
La figlia dell’eretica
“M’inginocchiai e appoggiai l’orecchio al tumulo, ascoltando l’assestarsi dei sassi.
Ricordai di essermi chiesta, molto tempo prima, quale musica si sarebbe liberata dalle ossa di mia madre. Una volta mi ero immaginata il loro canto come l’infrangersi delle onde, perché sapevo che anche la fragile conchiglia dell’oceano si porta dentro il suono incalzante della risacca. Quello che sentii era invece un fruscio leggero, una sorta di fischio sommesso. Il rumore della viola quando sbuca attraverso le prime gelate dell’inverno.”
Kathleen Kent, La figlia dell’eretica, pag. 313.
La bellezza di questo libro è talmente grande che non ho le parole per descriverla. Un libro al contempo terribile, doloroso, poetico e bellissimo. Mi ci sono avvinghiata dopo le prime pagine come l’edera al tronco della betulla, ho faticato a chiuderlo, a lasciarlo riposare quando avevo bisogno di respirare, e ora che ho voltato l’ultima pagina, sono profondamente commossa. Mi è rimasto sotto la pelle.
La figlia dell’eretica è Sarah Carrier, sua madre è Martha Carrier, una delle donne arrestate ad Andover e impiccate a Salem nell’agosto del 1692. La storia è narrata con la sua voce, quando, ormai vecchia, decide di lasciare le sue memorie in eredità alla nipote e a coloro che verranno.
L’autrice del libro, davanti alla quale mi inchino per la bravura inarrivabile, è una diretta discendente di Martha, e il lavoro che ha fatto è davvero importante.
Consiglio caldamente questa lettura, è dolorosa, non può essere altrimenti, ma di una bellezza rara che merita di essere conosciuta.
Fotografia di autrice o autore sconosciuta/o.
La figlia dell’eretica
“M’inginocchiai e appoggiai l’orecchio al tumulo, ascoltando l’assestarsi dei sassi.
Ricordai di essermi chiesta, molto tempo prima, quale musica si sarebbe liberata dalle ossa di mia madre. Una volta mi ero immaginata il loro canto come l’infrangersi delle onde, perché sapevo che anche la fragile conchiglia dell’oceano si porta dentro il suono incalzante della risacca. Quello che sentii era invece un fruscio leggero, una sorta di fischio sommesso. Il rumore della viola quando sbuca attraverso le prime gelate dell’inverno.”
Kathleen Kent, La figlia dell’eretica, pag. 313.
La bellezza di questo libro è talmente grande che non ho le parole per descriverla. Un libro al contempo terribile, doloroso, poetico e bellissimo. Mi ci sono avvinghiata dopo le prime pagine come l’edera al tronco della betulla, ho faticato a chiuderlo, a lasciarlo riposare quando avevo bisogno di respirare, e ora che ho voltato l’ultima pagina, sono profondamente commossa. Mi è rimasto sotto la pelle.
La figlia dell’eretica è Sarah Carrier, sua madre è Martha Carrier, una delle donne arrestate ad Andover e impiccate a Salem nell’agosto del 1692. La storia è narrata con la sua voce, quando, ormai vecchia, decide di lasciare le sue memorie in eredità alla nipote e a coloro che verranno.
L’autrice del libro, davanti alla quale mi inchino per la bravura inarrivabile, è una diretta discendente di Martha, e il lavoro che ha fatto è davvero importante.
Consiglio caldamente questa lettura, è dolorosa, non può essere altrimenti, ma di una bellezza rara che merita di essere conosciuta.
martedì 17 ottobre 2023
Resto ferma
Cerco di estraniarmi e isolarmi, sempre di più, ma ho molta difficoltà ad avere a che fare con questo mondo frenetico e privo di senso. In piena estate, si parla dell’autunno e si mostrano foglie, funghi e zucche, poi ancora prima che l’autunno arrivi e venga percepito, vissuto, sentito, respirato, ci si trova già immerse nel natale, e dappertutto appaiono neve, babbi e renne. Ma fuori le foglie sono ancora verdi, iniziano appena a tingersi di giallo e ad arricciarsi ai margini.
Mentre osservo questa corsa senza senso mi sento soffocare e spegnere dentro. È una corsa volta soprattutto a vendere e ancora vendere, ed è priva di vita. Per anni mi sono rifiutata di prenderne parte, pur dovendo anticipare almeno un pochino i tempi perché il lavoro che ho scelto me lo richiede e, almeno un pochino, lo devo assecondare. Ma non ne sono schiava, e a questa follia non mi sottometto, a costo – e succede – di vendere meno e di dover lasciare il passo ad altre e altri.
Che superino pure, sfrecciando verso ciò che sarà ma che non arriva mai, perché quando arriva si è già passate/i oltre.
Non trovo alcun senso in tutto questo, provo solo molta tristezza e disincanto.
Oggi ci si ricorda che mancano sessantanove giorni a natale, ma non si ascolta il primo ticchettare del pettirosso, il fruscio delle prime foglie che, finalmente, si staccano e cadono dai rami. Non si osserva il cambiamento quasi impercettibile dei colori degli alberi, la prima nebbia che sale dal terreno, o gli uccelli che si preparano a migrare, e volano in stormi sopra le campagne.
È autunno da giorni sul calendario, eppure dopo un tempo caldo e afoso interminabile l’ho sentito veramente solo tre notti fa. Ho respirato il suo profumo umido e freddo, e finalmente l’ho salutato, dandogli il benvenuto.
Guardo la folle e isterica corsa, e nonostante vertigini e smarrimento resto ferma. Vacillo, perdo l’equilibrio a volte, ma resto ferma.
Il mondo reale non è fatto di anticipi, ma non è fatto nemmeno di date e orari. Ogni cosa è fluida, morbida, a volte repentina, a volte estremamente lenta. Ma è quando accade. Non prima, non dopo.
Io in quel momento voglio esserci. Non sempre ci riesco, raramente a dirla tutta. Ma almeno ci provo. Voglio esserci. E viverlo, e onorarlo, ed esserne riconoscente.
È in quell’attimo vero e vivo che risiede la vita, e la gioia. È lì che accade la magia.
E forse, è lì che si può ricominciare a guarire.
Fotografia di autrice o autore sconosciuta/o, raccolta da Pinterest
Mentre osservo questa corsa senza senso mi sento soffocare e spegnere dentro. È una corsa volta soprattutto a vendere e ancora vendere, ed è priva di vita. Per anni mi sono rifiutata di prenderne parte, pur dovendo anticipare almeno un pochino i tempi perché il lavoro che ho scelto me lo richiede e, almeno un pochino, lo devo assecondare. Ma non ne sono schiava, e a questa follia non mi sottometto, a costo – e succede – di vendere meno e di dover lasciare il passo ad altre e altri.
Che superino pure, sfrecciando verso ciò che sarà ma che non arriva mai, perché quando arriva si è già passate/i oltre.
Non trovo alcun senso in tutto questo, provo solo molta tristezza e disincanto.
Oggi ci si ricorda che mancano sessantanove giorni a natale, ma non si ascolta il primo ticchettare del pettirosso, il fruscio delle prime foglie che, finalmente, si staccano e cadono dai rami. Non si osserva il cambiamento quasi impercettibile dei colori degli alberi, la prima nebbia che sale dal terreno, o gli uccelli che si preparano a migrare, e volano in stormi sopra le campagne.
È autunno da giorni sul calendario, eppure dopo un tempo caldo e afoso interminabile l’ho sentito veramente solo tre notti fa. Ho respirato il suo profumo umido e freddo, e finalmente l’ho salutato, dandogli il benvenuto.
Guardo la folle e isterica corsa, e nonostante vertigini e smarrimento resto ferma. Vacillo, perdo l’equilibrio a volte, ma resto ferma.
Il mondo reale non è fatto di anticipi, ma non è fatto nemmeno di date e orari. Ogni cosa è fluida, morbida, a volte repentina, a volte estremamente lenta. Ma è quando accade. Non prima, non dopo.
Io in quel momento voglio esserci. Non sempre ci riesco, raramente a dirla tutta. Ma almeno ci provo. Voglio esserci. E viverlo, e onorarlo, ed esserne riconoscente.
È in quell’attimo vero e vivo che risiede la vita, e la gioia. È lì che accade la magia.
E forse, è lì che si può ricominciare a guarire.
lunedì 2 ottobre 2023
Incontro-scontro con San Michele Arcangelo
In questi giorni ci tenevo a conoscere la figura di San Michele Arcangelo e le sue radici precristiane, poiché da diverso tempo i luoghi che fanno parte della cosiddetta linea energetica di San Michele mi affascinano e attraggono. Ci ho provato, ma per me è una porta chiusa. Non chiusa da lui, ma chiusa, anzi, sbattuta con forza, da me.
Nonostante tutte le migliori intenzioni, la curiosità propositiva e l’apertura, fra noi non ha funzionato. La scintilla non è scoccata. O meglio, è scoccata, sì, ma quella del fuoco inceneritore.
Così, ispirata da quel fuoco, gli ho scritto due parole. In lui non credo, per me non esiste, ma sia mai che le riceva.
Più ti conosco, caro San Michele Arcangelo, più amo il serpente che ti ostini a schiacciare sotto al tuo piede.
Ti ergi nella tua angelica luce trionfale, con la tua spada affilata, lo sguardo cupo, la fronte aggrottata, e trafiggi con la lama il morbido corpo del serpente.
Come potrei mai apprezzarti io, che sono figlia di quel serpente? Quel serpente è mia madre, mia sorella e mia dea, e il tuo gesto non lo perdono.
Fa male quella lama che penetra la carne, fa male quello sguardo duro come la pietra. Li sento trapassarmi il cuore come trapassano quello della serpe, e patisco con lei.
Tu, capo supremo dell’esercito celeste, guardarmi pure dall’alto in basso, sprezzante, mentre seduta accanto al serpente accarezzo le sue squame ferite. Sono disarmata e non ho nessun potere, ma nemmeno tu hai potere su di me.
Ed è inutile che raccontino di te che sei anche legato alla guarigione e alle sorgenti curative. Quel potere e quelle acque erano del serpente, non tue.
Non mi importa più nulla delle tue origini. Non mi importa dei Longobardi, di Odino, e tanto meno di Sigfrido, Eracle e Mitra. Sono personaggi mitologici patriarcali che in me non esercitano alcun tipo di attrattiva, e adesso non mi importa nulla di nessuno di loro.
Mi importa del serpente e del drago, invece, e persino del diavolo che ha preso il loro posto.
La linea energetica terrestre, il suo potere tellurico primordiale, deve essere appartenuta a loro, prima che a te. A loro, invece che a te.
E sono loro che cercherò, piuttosto che te.
Mi muoverò, ancora come sempre, su strade sconosciute, invisibili, sottocutanee. Solo lì si trovano le risposte alle mie domande,
e la sola sorgente a cui voglio attingere, e alla quale mi voglio abbeverare.
Sì, è proprio questo ciò che farò. Percorrerò la linea energetica terrestre, provando a intuire e ascoltare la atavica energia serpentina che, nonostante l’incombente spada del santo guerriero, non ha smesso di scorrere e di mormorare sottovoce.
Deve esserci lei, alla radice. E cercherò lei, sotto ai suoi piedi.
In effetti, mi chiedo come abbia fatto a non capirlo prima. Ancora una volta, come sempre, qualsiasi cosa cerchi, compare il serpente.
***
Una nota inquietante:
Anche se rientra nel discorso solo in piccola parte, aggiungo una cosa che mi ha fatta riflettere.
La statua di San Michele Arcangelo – clicca qui per vederla – o Sancte Michael, che troneggia in posa sulla facciata del monumento alla Battaglia delle Nazioni a Lipsia, in Germania, per quanto risalga a 1913 sembra in tutto e per tutto un monumento nazifascista. Guardandolo non posso fare a meno di pensare che ce lo vedrei bene, quel cupo, corrugato e impettito Sancte Michael, col suo volto duro e il profilo squadrato, in testa all’esercito di divinità scelte dai nazisti per guidarli nella loro opera di “purificazione”. Lo osservo e continuo a provare sensazioni spiacevoli. Così, facendo qualche ricerca mirata, scopro che in effetti l’intero monumento, il Völkerschlachtdenkmal, era molto apprezzato niente meno che da Hitler:
“Il monumento venne spesso utilizzato da Hitler durante le visite a Lipsia e fu l’ultimo a cadere durante la conquista americana della città nel 1945.”
Ci sono diverse fotografie dell’epoca – clicca qui – e lui è proprio lì, davanti a quel rigido Sancte Michael, con la gigantesca incisione “Gott Mit Uns” – Dio Con Noi – che lo sovrasta.
Non ne sono sorpresa affatto, e provo un intenso disgusto.
D’altra parte però, mi rendo conto che questo è solo un frammento di storia, e che anche con la religione cristiana e con la maggior parte di coloro che la praticano, non ha nulla che vedere.
Per contro, eviterei di considerare le versioni luccicose e scintillanti dell’Arcangelo Michele – in perfetto stile Doreen Virtue – delle correnti new-age. Sinceramente le trovo poco presentabili.
***
Le mie percezioni valgono per me soltanto, e forse per poche altre persone. Sopra a ogni cosa, spero non vi sentirete offese e offesi dalle mie parole. Chi ha una sensazione diversa rispetto a questo santo, e sono certa che sia così per molte/i, è giusto che segua il proprio sentire. Questo, semplicemente, è il mio. Non è giusto e non è sbagliato, è giusto per me, è quello che appartiene a me e che fa parte del mio percorso.
Nonostante tutte le migliori intenzioni, la curiosità propositiva e l’apertura, fra noi non ha funzionato. La scintilla non è scoccata. O meglio, è scoccata, sì, ma quella del fuoco inceneritore.
Così, ispirata da quel fuoco, gli ho scritto due parole. In lui non credo, per me non esiste, ma sia mai che le riceva.
Più ti conosco, caro San Michele Arcangelo, più amo il serpente che ti ostini a schiacciare sotto al tuo piede.
Ti ergi nella tua angelica luce trionfale, con la tua spada affilata, lo sguardo cupo, la fronte aggrottata, e trafiggi con la lama il morbido corpo del serpente.
Come potrei mai apprezzarti io, che sono figlia di quel serpente? Quel serpente è mia madre, mia sorella e mia dea, e il tuo gesto non lo perdono.
Fa male quella lama che penetra la carne, fa male quello sguardo duro come la pietra. Li sento trapassarmi il cuore come trapassano quello della serpe, e patisco con lei.
Tu, capo supremo dell’esercito celeste, guardarmi pure dall’alto in basso, sprezzante, mentre seduta accanto al serpente accarezzo le sue squame ferite. Sono disarmata e non ho nessun potere, ma nemmeno tu hai potere su di me.
Ed è inutile che raccontino di te che sei anche legato alla guarigione e alle sorgenti curative. Quel potere e quelle acque erano del serpente, non tue.
Non mi importa più nulla delle tue origini. Non mi importa dei Longobardi, di Odino, e tanto meno di Sigfrido, Eracle e Mitra. Sono personaggi mitologici patriarcali che in me non esercitano alcun tipo di attrattiva, e adesso non mi importa nulla di nessuno di loro.
Mi importa del serpente e del drago, invece, e persino del diavolo che ha preso il loro posto.
La linea energetica terrestre, il suo potere tellurico primordiale, deve essere appartenuta a loro, prima che a te. A loro, invece che a te.
E sono loro che cercherò, piuttosto che te.
Mi muoverò, ancora come sempre, su strade sconosciute, invisibili, sottocutanee. Solo lì si trovano le risposte alle mie domande,
e la sola sorgente a cui voglio attingere, e alla quale mi voglio abbeverare.
Sì, è proprio questo ciò che farò. Percorrerò la linea energetica terrestre, provando a intuire e ascoltare la atavica energia serpentina che, nonostante l’incombente spada del santo guerriero, non ha smesso di scorrere e di mormorare sottovoce.
Deve esserci lei, alla radice. E cercherò lei, sotto ai suoi piedi.
In effetti, mi chiedo come abbia fatto a non capirlo prima. Ancora una volta, come sempre, qualsiasi cosa cerchi, compare il serpente.
***
Una nota inquietante:
Anche se rientra nel discorso solo in piccola parte, aggiungo una cosa che mi ha fatta riflettere.
La statua di San Michele Arcangelo – clicca qui per vederla – o Sancte Michael, che troneggia in posa sulla facciata del monumento alla Battaglia delle Nazioni a Lipsia, in Germania, per quanto risalga a 1913 sembra in tutto e per tutto un monumento nazifascista. Guardandolo non posso fare a meno di pensare che ce lo vedrei bene, quel cupo, corrugato e impettito Sancte Michael, col suo volto duro e il profilo squadrato, in testa all’esercito di divinità scelte dai nazisti per guidarli nella loro opera di “purificazione”. Lo osservo e continuo a provare sensazioni spiacevoli. Così, facendo qualche ricerca mirata, scopro che in effetti l’intero monumento, il Völkerschlachtdenkmal, era molto apprezzato niente meno che da Hitler:
“Il monumento venne spesso utilizzato da Hitler durante le visite a Lipsia e fu l’ultimo a cadere durante la conquista americana della città nel 1945.”
Ci sono diverse fotografie dell’epoca – clicca qui – e lui è proprio lì, davanti a quel rigido Sancte Michael, con la gigantesca incisione “Gott Mit Uns” – Dio Con Noi – che lo sovrasta.
Non ne sono sorpresa affatto, e provo un intenso disgusto.
D’altra parte però, mi rendo conto che questo è solo un frammento di storia, e che anche con la religione cristiana e con la maggior parte di coloro che la praticano, non ha nulla che vedere.
Per contro, eviterei di considerare le versioni luccicose e scintillanti dell’Arcangelo Michele – in perfetto stile Doreen Virtue – delle correnti new-age. Sinceramente le trovo poco presentabili.
***
Le mie percezioni valgono per me soltanto, e forse per poche altre persone. Sopra a ogni cosa, spero non vi sentirete offese e offesi dalle mie parole. Chi ha una sensazione diversa rispetto a questo santo, e sono certa che sia così per molte/i, è giusto che segua il proprio sentire. Questo, semplicemente, è il mio. Non è giusto e non è sbagliato, è giusto per me, è quello che appartiene a me e che fa parte del mio percorso.
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