venerdì 27 agosto 2021

Iansã, Signora del vento, del fuoco, delle donne

Le mie letture
Le Grandi Madri del Brasile
Iansã, Signora del vento, del fuoco, delle donne


Sin dal primo giorno che ho letto di Iansã, o Yansã – chiamata anche Oyã – ho sentito una forte, fortissima affinità con lei. Quasi una completa identificazione, una viscerale comprensione del suo essere, e un grande amore per lei. Più ne leggevo, più mi sembrava di guardare la superficie di uno specchio, più accettavo quelle stesse energie che mi abitano dentro sin dalla nascita.
Ma non ha importanza ciò che sento io, ciò che importa è la bellezza assoluta di questa indomita Orixà, Signora del vento, delle tempeste, del fuoco, ma anche delle donne, quasi da poterla chiamare – senza sbagliare – l’Orixà femminista per eccellenza.
Riporto questi brani dedicati a lei, perché merita di essere conosciuta, e ascoltata… nella brezza, nella fiamma, nella tempesta.

Iansã, nel panteon yorubá, è l’unica dea che riesce a conservare uno degli antichi poteri della Grande Madre, forse quello più misterioso, il dominio sullo spirito degli antenati. (…) lei è la dea che meglio di ogni altra rappresenta il potere del femminile che combatte quello maschile per un equilibrio più giusto del mondo, apertamente, con uguale coraggio e uguale valore. Una competizione (…) animata sempre da un bisogno di verità e giustizia che spesso si trasforma in amore, alleanza, complicità.
(…) Iansã vive i suoi amori con la prontezza e l’intensità che le sono proprie, ma con altrettanta rapidità e determinazione scappa da situazioni che le provocano insopportabili dolori.

Anticamente Iansã era anche una divinità del fiume Niger, dunque dell’acqua. “Da quell’elemento, però, Iansã si era allontanata per diventare regina del fuoco e dell’aria, dei venti di brezza e tempesta, e di ogni battaglia.

Se rinunciava alla libertà seguendo, in competizione con Oxum, Xangô e Oxossi nei loro palazzi, anche se lo faceva per amore, deviava dal suo cammino ed era votata all’insuccesso. Allora l’unica via che le restava era la fuga per riprendersi la libertà: il suo vero destino.
La doppia origine di acqua e fuoco, fa di Iansã un simbolo dell’unione di forze opposte, da cui derivano la sua grande indipendenza e passionalità, la temerarietà e la violenza. Mentre è l’aria – (…) suo principale elemento – a permettere la sintesi (…).
” Questo la rendeva “responsabile dell’evaporazione”.
(…) è questa l’essenza e il grande potere di Iansã: l’aria, soffio creativo che spazza via ogni male e la spinge, inquieta, a percorrere sempre nuovi sentieri. La dea “dai piedi d’oro”, Orixá delle strade (…) fugge quando non può vincere e usando la magia si trasforma in raffica di vento per viaggiare più rapidamente. Quel vento, simbolo della sua libertà e della sua azione purificatrice, sa essere leggero e gioioso, proprio come una brezza che un canto dedicato a lei così invoca mentre la danza lo descrive. Ma a volte è pena e pericolo: vento dell’orgoglio che va in alto, insieme al fuoco dell’ira, e può spingerla troppo oltre impedendole il ritorno e qualsiasi riconciliazione.

(…) la sua figura mitica è legata anche al tema dell’abbandono dei figli. Lei è la madre che li fa allevare da altri e si lancia alla conquista di qualche potere maschile, come il dominio sugli Egun e sul fuoco.
Il suo errare significa coraggio, fuga dal dolore, desiderio di rimanere libera da vincoli, amore della conoscenza e ricerca della verità, che lei fa trionfare abbattendo ogni genere di ipocrisie e lanciando dalla bocca parole come fiamme.
Iansã è la “viandante ribelle e solitaria”, e “più di ogni altra dea, rappresentava il cammino faticoso e doloroso della conoscenza (…).

Brani tratti da Marcella Punzo, Le Grandi Madri del Brasile, pagg. 140-145.

Solo per me, o anche per me?

Non ho la pretesa di credere che ciò che mi capita attorno sia lì solo per me. Mi piacerebbe se fosse così, e anche se magari è un mio limite, preferisco non crederci. Sono già troppe le persone che credono sia così per loro, e io non vorrei mai – col mio passaggio – interferire con tutti i messaggi che la Natura sembra essere impegnata a mandare a ognuno di loro – e solo per loro – in ogni momento.
Preferisco liberarmi anche di questa convinzione, di questa aspettativa, e semplicemente osservare.
Osservare ciò che succede attorno e cogliere quello che, per un motivo o per un altro, suscita in me qualche intuizione per il mio cammino. Non qualcosa che è stato fatto apposta per me, ma qualcosa che succede, e che scopro essere utile anche a me.

Poi è più che giusto che ognuna e ognuno creda in ciò che sente essere vero per sé. Ma questo è ciò che sento essere vero io, per me stessa. Ci sono troppi protagonismi, troppi io e mio, troppi solo per me, e tutto questo mi crea istintivamente un forte disagio.
Lo lascio agli altri, ne faccio volentieri a meno, e ancora una volta proseguo più leggera sulla mia strada.
Illustrazione di Rebecca Green

giovedì 26 agosto 2021

Piccoli momenti magici

Ieri pomeriggio sono tornata al mio santuario, avevo bisogno di aria fresca, di sole, di silenzio, di isolamento, di ali…
Appena entrata nella stradina sterrata, ho intravisto volare una ballerina bianca, e tutti i campi erano pieni di aironi maggiori, garzette e ibis.
In un punto particolare del giardino dietro il santuario, dove è tutto verde e lucentissimo, fra cespugli violetti di salcerella e baluginii d’acqua delle risaie, ho offerto un saluto al sole, cantando singole note, e lasciando che le mani e le braccia danzassero in onore alla bellezza luminosa che cresceva e fioriva intorno.
Ho sollevato le braccia verso il cielo raggiante, e poco dopo ho sentito un fruscio e un tamburellare di passetti alle mie spalle. Mi sono girata, e ho visto entrare nel giardino un bellissimo fagiano. Non si era accorto della mia presenza, o forse non l’aveva percepita un pericolo, e così ha passeggiato un po’ attorno, poi si è infilato sotto un cespuglio e si è di poco allontanato.
L’ho sentito come un piccolo dono, e come accade in queste situazioni, mi sono sentita una parte armoniosa del posto, diversa dalle persone che spesso lo frequentano facendo rumore e disturbandone la quiete.

Ho cercato qualche accenno di simbologia del fagiano, e ho trovato qualche passo carino:
La prima associazione del fagiano è con il movimento. La sua danza [a spirale] dell’accoppiamento ha affascinato intere generazioni. (…)
In Europa e in America, il fagiano parla della sacra spirale, un simbolo che adornava i templi e i monumenti di pietra di tutti i tempi e che è stato ritrovato a Newgrange, in Irlanda, e nei mitrei italiani.
(…) Quando danza, il fagiano emette un ronzio inspirando ed espirando dalla gola. È quindi il controllore del respiro sacro. Questo rumore ritmico è paragonato a quello del tamburo.

Il fagiano è quindi legato all’aria e alla terra, alla sessualità e all’indipendenza, ma soprattutto alla danza sacra, alla spirale e al tamburo.
Il fagiano è un’espressione di tutti i cicli: quello stagionale, quello lunare, l’incessante processione circolare delle stelle del cielo. Quindi la sua comparsa significa che nella vita di una persona si sta svolgendo il ciclo del cambiamento. Suggerisce il movimento dello spirito. È l’assicurazione che (…) nella naturale progressione degli eventi tutto verrà trasformato, in meglio, naturalmente. Può fare la sua comparsa quando qualcuno sta per dimostrare il proprio valore.

Brani tratti da Jessica Dawn Palmer, Dizionario magico degli animali, pagg. 132-134.

Forse è proprio vero che il simile attira il simile e che dalla danza nasce la danza. La danza risponde alla danza, specialmente quando è svolta in offerta.
E nella danza che disegna la spirale – e il cerchio – avviene il cambiamento, la trasformazione e quindi la rigenerazione.
L’incontro di ieri – anche quello con la ballerina bianca – mi ha parlato di danza e cambiamento, di indipendenza e respiro, e della spirale tracciata al ritmo dei tamburi per dare vita alla trasformazione.
Ne sono davvero grata, e certamente ne farò tesoro.

mercoledì 18 agosto 2021

Percorrere la propria strada

Non è per nulla facile percorrere la propria strada, tracciarla, scoprirla, dispiegarla, un passo alla volta, e vedere ogni giorno dove porta. È molto più facile percorrere le strade già tracciate da qualcun altro, così non è necessario riflettere ed essere accorte, non serve discernere, né controllare la bussola o disegnare la propria mappa. Se poi la strada è molto popolata, piana, liscia e comoda, ancora meglio. Così non serve neanche più guardare dove si mettono i piedi, basta seguire chi è davanti, certe che andremo “nel posto giusto”, quello sicuro dove vanno tutti.
Eppure spesso la strada già tracciata è adatta solo a chi l’ha tracciata, e a nessun altro. E anche se è facile, perché basta solo seguire la corrente, non è detto che porti laddove chi la percorre vorrebbe o dovrebbe andare.

A me le strade già tracciate, soprattutto se affollate, non sono mai piaciute. E anche quando ho provato ad adattarmi, il tentativo è durato poco.
Come potrei rinunciare a scegliere ogni mio singolo passo, fosse anche quello che fa ruzzolare per terra o che porta a girare in tondo? Come potrei rinunciare a valutare attentamente ogni traccia, distinguendo ciò che può essere utile al viaggio, da ciò che invece porterebbe fuori strada?
Come potrei rinunciare a deviare di colpo la direzione, quando mi accorgo che lo scenario che appare non è quello che cerco e non riflette ciò a cui appartengo?
Sono troppo innamorata della scelta, fosse anche di quali sassolini calpestare e di quali saltare a piè pari.
Non sono fatta per aggregarmi, non lo sono mai stata. E le strade già tracciate non fanno per me.
Voglio guardare, esplorare, conoscere, toccare con mano, sperimentare, e scegliere, scegliere, scegliere.
Senza chiedere di essere seguita, o accompagnata, preferisco condividere ciò che di buono trovo lungo il percorso, che sia una piuma particolarmente bianca, una pietra particolarmente lucente, un frutto particolarmente dolce. E se questi possono guidare o nutrire altre viaggiatrici e altri viaggiatori, anche solo per un attimo, non posso fare altro che gioirne.

***

Più percorrerai la strada meno battuta,
meno compagne di viaggio avrai,
meno saranno coloro che ti cercheranno e ti ascolteranno.
È nella natura delle strade poco battute, essere sì solitarie e silenziose.
Si nascondono, e parlano sottovoce.
E non ti portano dove credi di voler andare,
ma dove forse puoi trovare ciò che non sai che stai cercando.

Illustrazione di Kathrin Honesta

lunedì 16 agosto 2021

Io sono Nessuno

Io sono Nessuno! Chi sei tu?
Sei 
 Nessuno – anche tu?
Allora siamo in due!
Non dirlo! ne parlerebbero – lo sai!

Com’è triste – essere – Qualcuno!
Com’è comune – come una Rana –
A dire il proprio nome – in un lungo Giugno –
Ad una Palude ammirata!


Emily Dickinson

***

Quanta libertà, quanta leggerezza, quanta bellezza nell’essere Nessuno.
Autodeterminarsi, continuamente, in lunghe file di epiteti, ruoli, definizioni, è un enorme – e inutile – dispendio di energia. Bisogna continuamente dimostrarlo, di essere tutto ciò che si ha determinato di essere. Bisogna provarlo con se stesse, e soprattutto con gli altri, per essere sempre credibili. Senza mai permettersi di scivolare, senza mai mollare la presa, sempre perfettamente rispondenti a ciò che si determina di essere.
Ma che fatica, che stanchezza – “che noia”, aggiungerebbe una vocina dentro di sé, che delle definizioni non se ne fa niente, e che è proprio stufa di sentirne.
Passiamo molto del nostro tempo a definirci, a riempire liste di ciò che pensiamo di essere, a compilare interminabili curriculum, così da sembrare tante cose, e da riuscire a venderci nel modo migliore.
E che disdetta, quando alla fine ci rendiamo conto che nulla di ciò che si ha definito, determinato e tentato di dimostrare a se stesse e agli altri, corrisponde al vero.

Eppure, è proprio nel momento in cui ci si concede di essere Nessuno che avviene la prima delle più grandi liberazioni. Il primo passo, indispensabile, verso la profondità della propria terra, e verso l’altezza del proprio cielo.
Quanta libertà si vive in quell’istante. Come se due grandi, candide ali d’uccello si dispiegassero finalmente dietro la nostra schiena, e il vento fresco passasse attraverso ogni singola piuma, accarezzandola.
Quanta leggerezza si prova in quel momento. Come se tutti i pesi si sollevassero dal cuore, tutti quanti e tutti insieme, ed esso diventasse lieve e libero come l’aria.
Viene quasi voglia di danzare, di abbandonarsi alla libertà assoluta, di volare verso altezze mai raggiunte prima.
Gli occhi finalmente si aprono, e vedono, riconoscendo le sbarre aperte della prigione lasciata dietro le spalle, così come tutte le prigioni ancora chiuse davanti a innumerevoli altre anime. Prigioniere di se stesse – non degli altri o del mondo, ma solo di se stesse – e incapaci di aprire le ali e alleggerire il cuore.
Incapaci di poter urlare, con tutta la gioia in corpo, “io sono Nessuno!”.

***

Uno dei primi passi sul cammino di trasformazione interiore, forse, è proprio questo.
Lasciar ricadere le definizioni, smettendo di averne bisogno, e abbracciare la libertà di essere Nessuno.
Perché solo essendo Nessuno, si potrà forse essere Tutto.
Illustrazione di Maggie Chiang

venerdì 13 agosto 2021

Magia naturale

C’è un momento della giornata, dopo il tramonto, ma prima del crepuscolo, in cui i soffioni si trasformano in piccole lampade rotonde, dalla luce bianca e soffice. La brezza umida le fa ondeggiare oziose, un soffio di vento le dissolve. Nugoli di semi luminosi volano via, e poco oltre ricadono, attecchiscono alla terra, germogliano, e accendono nuove piccole lampade rotonde.
È in quel momento, quando non è più giorno ma non è ancora notte, che i sentieri iniziano a brillare.
E le strade nascoste, per un attimo, svelano il loro segreto.
Illustrazione di Amelia Leonards - Ameluria

Ricordi

Ricordo quella sera, fuori era buio e faceva freddo. Dal vetro si intravedeva il traffico metropolitano, una fila interminabile di macchine, tram e persone che creavano un caos di movimento e di rumore frastornante. Eppure, fra quelle quattro mura piene di libri (...) non penetrava alcun rumore, né alcuna presenza ostile.
Una fiammella accesa tremolava vivace, il profumo di legno di sandalo impregnava l’aria, e in sottofondo una allegra musica di flauti creava una realtà molto diversa da quella esterna. Una realtà gioiosa, vera.
Lui mi guardava con quella sua aria seria ma affabile, mentre mi tormentavo nei pensieri e nel timore di non riuscire a ottenere ciò che desideravo più di ogni cosa, credendo di non esserne degna.
“In lei, Signorina, c’è l’Argento.”
“Davvero?”, gli ho chiesto con le lacrime agli occhi. “Ne è sicuro?”
“Altrimenti non glielo direi. C’è l’Argento, deve solo affinarlo. Non si arrenda.”
“Arrendermi? No mai, questo mai. Io non posso arrendermi.”
Lui è scoppiato a ridere.
“E allora di cosa si preoccupa? Vede, in lei non c’è solo l’Argento, c’è anche l’Oro.”

Sono passati così tanti anni che fatico a ricordare tante cose… ma questa non posso dimenticarla.
Vorrei che fosse ancora qui. Avrei voluto passare più tempo in sua presenza, chiedergli tantissime altre cose. Vorrei ridere ancora con lui. Raccontargli ciò che è venuto dopo. Soprattutto adesso, che cammino da sola.
Non sono diventata matura, sono solo un po’ meno acerba di allora, e ho tante domande che allora non potevo avere. Ma delle quali, dopotutto, so già quale sarebbe stata la sua risposta.

“Osservi la Natura, lì troverà tutte le risposte che cerca.
E poi tanto, lei conosce già tutto ciò che ha bisogno di sapere.”

***

Oggi, accarezzando la copertina di un libro particolare, con le pagine grezze, sigillate, piene di misteri, un libro fuggevole che sono stata io a fuggire per tanti anni, e che finalmente ho tra le mani, ripenso al passato, e qualcosa mi dice che lui sarebbe contento.

***

Ci sono persone che si pongono come maestre, lasciando intendere che abbiamo bisogno di loro per crescere ed evolverci, che la loro presenza e il loro intervento nel nostro percorso interiore sono auspicabili, o addirittura indispensabili; e ci sono persone che semplicemente sono lì, che non lasciano intendere nulla, non si pongono in alcun modo, negano di essere maestre, rifiutano le definizioni, il più delle volte sono silenziose, spesso apparentemente scorbutiche, eppure donano molto più di quanto si possa chiedere. E quando passano oltre lasciano una mancanza che non può essere riempita da qualcun altro. Rimane tale, così com’è. Eppure non è una mancanza vuota, è una mancanza piena.
Piena di tutto ciò che di buono e bello hanno sparso in vita, e di tutto ciò che ne è germogliato.
Illustrazione di Ellfi

giovedì 12 agosto 2021

Offrire al mondo

La nostra vita è una costante offerta. Ogni azione, parola, gesto, pensiero, intenzione è un’offerta al mondo. Però non sempre ne siamo consapevoli, ed è questo che fa la differenza.
Sia che si tratti di una parola pronunciata, di uno sguardo, di un’azione compiuta, questo è quello che noi, in quel momento, stiamo offrendo al mondo
.”
Barbara Pozzo – Somebliss

Se poi per offrire al mondo attingiamo dall’interno, da quella brillante stella che abita dentro,
immergendo le dita nella sua luce, bagnandovi le labbra, riempiendoci gli occhi,
ecco che rendiamo sacra l’offerta, ecco che offriamo il sacro, come datrici di sacro.
Ciò che di più alto e benefico possiamo fare, e ciò di cui il mondo ha più sete.


Illustrazione di Rebecca Green

mercoledì 11 agosto 2021

Di rotte, stelle e grandi navi

Mi è capitato più volte di perdere la rotta, distratta dai contrasti e dalle disarmonie che tante, troppe volte emergono nella realtà circostante. Troppo rumore, spesso rabbioso, tramortisce e disorienta, e talvolta mi porta lontano da me stessa, verso luoghi che non amo.
Quando questo succede, mi fermo, mi siedo, e rimango in silenzio.
Cerco quella presenza calda e luminosa che mi abita dentro e resto lì, accoccolata, a sentirne il calore.
Spesso, quasi subito, iniziano ad emergere sensazioni sottili, che prendono la forma di messaggi, e la bussola dorata torna a segnare la direzione. La sua piccola freccia, però, non punta avanti, verso il nord. Punta dentro, verso il mio cuore, verso la stella che canta.
È allora che accadono le sincronie, che trovo quel che cerco, che si crea magia.

***

Qualche giorno fa, mentre lasciavo emergere parole e direzioni, e cercavo nuovi modi per mettere in pratica ciò che sento essere il mio compito senza subire troppi contraccolpi, mi è tornata alla mente una frase che avevo letto in un libro tanti anni fa.
Quando una grande nave è ormeggiata in porto, è al sicuro, non c'è dubbio. Ma… non per questo vengono costruite le grandi navi.” (Clarissa Pinkola Estès)
Ho ricordato quanto sia vero, e quanto sia sciocco anteporre il timore delle ferite all’importanza dell’agire nelle piccole e grandi battaglie. Così ho accolto il messaggio, l’ho lasciato depositare dentro di me, e ho ripreso ad agire attraverso l’ascolto e la scrittura.
Sono passati un paio di giorni, ho cominciato alcune ricerche, ho trovato alcune risposte, e sono rimasta in ascolto.
Nel mentre, mia mamma ha tirato fuori dalla libreria un libretto sulle grandi donne della storia, interessata anche lei a un argomento che stavo studiando, e ha iniziato a leggerlo.
Ieri mattina, poco dopo essermi seduta alla mia scrivania, ho notato quel libretto, lasciato aperto appositamente su una pagina precisa.
La pagina riguardava Grace Hopper, una grande informatica, matematica e militare che visse nel 1900. Non capivo come mai mia mamma avesse lasciato il libro aperto per me proprio su quella pagina, dato che non era di Grace Hopper che mi stavo occupando.
Poi ho letto la frase di apertura del breve testo su di lei:
Una nave in porto è sicura, ma non è per questo che sono costruite le navi.
Sono rimasta folgorata. Non era possibile che mia mamma sapesse che questo era uno dei messaggi che mi erano risuonati dentro pochi giorni prima.
Ho cercato di capire, senza riuscirci. Poi ho voltato pagina, ed eccola lì, la donna che stavo studiando.
Mia mamma aveva lasciato aperto il libro sulla sua pagina, per mostrarmela, ma un filo d’aria l’aveva voltata.
L’aveva voltata su Grace Hopper e sul messaggio che, lei per prima, aveva pronunciato, e che io avevo ricordato giorni prima, senza saperlo.

***

Che siano solo coincidenze o vere sincronie, che sia il caso o un soffio di magia, non sta a me dirlo, ma questo è ciò che succede, tante e tante volte, quando si agisce in armonia con la propria anima, quando la si ascolta e ci si lascia guidare dolcemente dalla sua voce.
Lasciare che tutto taccia, così che sia lei a parlare e a creare magia, che sia lei a mostrare la realtà, esteriore e interiore, e i modi per affrontarla e viverla nel modo più armonioso e fruttuoso possibile, dà un vero senso sacro alle proprie giornate.
E permette di non perdere la rotta, di non smarrirsi e dimenticare.
Ricorda, ripete.
Ricorda chi sei e dove stai andando.
Ricorda.

***

Che sia sempre la stella che canta, a guidare la nave.
Che la bussola dorata punti sempre verso l’interno,
dove lei abita,
così che la rotta non sia dimenticata,
e che il viaggio sia una benedizione
per se stesse e per gli altri.
Illustrazione di Anna Speshilova

lunedì 9 agosto 2021

Il controllo e il fluire

Deve essere molto faticoso e stancante credere di avere sempre il controllo su tutto ciò che accade nella propria vita, in ogni singolo momento, ovvero di esserne sempre responsabile.
Essere attive anziché passive nei confronti della propria vita, modellandola e reggendone i fili con consapevolezza è una pratica importante, essenziale, ma il controllo è un’illusione, e nasce sempre dall’identificazione nell’ego. Mai dalla comunione con l’anima.
L’ego controlla e si ritiene sempre coinvolto, sempre responsabile. Pieno di potere su di sé, pretende di gestire ogni cosa a suo vantaggio.
L’anima, invece, irradia luce, illumina, e fluisce in armonia col tutto.
È morbida, e affronta gli eventi della vita reale con fluidità; si adatta come l’acqua, assumendo diverse forme a seconda di ciò a cui va incontro.
Crea, aggrega, disgrega, e poi lascia andare.
Non controlla, e non si fa padroneggiare da colei o colui che abita.

Chi afferma di padroneggiare la propria anima, dunque di averne il controllo, mente a se stesso e agli altri.
La vera realizzazione avviene quando è l’anima a guidarci. Non davanti a noi, ma dentro di noi.
Non come una padrona, ma come una fiaccola che risplende nel cuore, senza mai privarci della libertà di scegliere se seguire la via indicata dalla sua luce oppure no.

Non si è sempre responsabili di ciò che accade nella propria vita.
L’intervento inaspettato, l’imprevisto, o semplicemente la rete di eventi creata dalle circostanze, non sono prevedibili né controllabili. Arrivano e basta, che ci piaccia o no. Ma il modo in cui li si affronta – ovvero se si sceglie di subirli o di cavalcarli – determina la nostra crescita e affina la nostra consapevolezza.
E lasciar andare, smettere di trattenere, di controllare, di padroneggiare, è quanto di più liberatorio e benefico si possa fare nel proprio cammino.
Un cammino che si muove verso l’integrità, verso la comunione con l’anima e la dimensione divina a cui appartiene, e verso l’agire ispirato nel mondo che questa riunione partorisce.
Illustrazione di Anna Speshilova

domenica 8 agosto 2021

La verità negli occhi

Spesso immagino come possano essere gli occhi di una persona illuminata, pienamente ricongiunta con la propria anima, e con la dimensione divina a cui essa appartiene.
E ho una sola certezza, sono gli occhi di una bambina, o di un bambino, intrisi di stelle.
Puri, luminosi, limpidi come lo zampillo di una sorgente toccata da un raggio di sole.
Sono occhi di una semplicità disarmante, che traboccano gioia, e irradiano amore.
Non mostrano insicurezza, ma solo piena fiducia nella vita e nel destino.
Sono occhi che brillano in un eterno presente, liberi del peso del passato, confidenti del futuro.
Solo purissima luce, e una fanciullezza che l’età non potrebbe mai intaccare.

In quei brevissimi momenti in cui sono stata luce, tutto questo l’ho sentito.
Ed è questo che cerco negli occhi di chi guardo. Basta una scintilla, o la sua assenza, per sapere se mi posso fidare di chi ho davanti oppure no.

Sono rari gli occhi che contengono la scintilla, quasi assenti quelli illuminati.
Chi propone insegnamenti e si pone come guida di percorsi spirituali, dovrebbe mostrare un riflesso di quella luce che si presume abbia risvegliato, ma raramente questo accade.
Soprattutto chi lascia intendere di sapere molte cose, chiede di essere seguito, promette grandi trasformazioni e affrancamenti, si compiace del proprio pubblico e si perde in mille esaltazioni di sé, ha sempre gli occhi privi di luce, e non è qualcuno di cui fidarsi.
Il mondo è pieno di pifferai che suonano il loro strumento, irretiscono chi li ascolta e si fanno seguire verso la rovina. È pieno di burattinai che muovono i loro fili con maestria, tanto da far credere che sia il burattino a scegliere i propri movimenti.
Possono essere carismatici, con un carattere forte, una voce risoluta – per questo sono seguiti da molti – ma non hanno luce. Fanno risuonare le loro parole sulle strade, nelle piazze, sotto i riflettori di un palcoscenico, muovendo certi animi, ma non hanno luce.
Hanno qualcosa di ambiguo negli occhi, talvolta una forza magnetica, ma non è luce.

La luce che brilla negli occhi di una persona illuminata, pienamente ricongiunta con la propria anima e con la dimensione divina a cui essa appartiene, è reale, e molto diversa.
E diversa e meno percettibile è la musica delle sue parole.
È una luce che non chiede di essere seguita. Brilla e basta.

E per quanto sia molto più difficile trovarla, o risvegliarla dentro di sé,
è solo questa la luce che cerco.
E solo questa la musica che danzo.
Illustrazione di Anna Speshilova

venerdì 6 agosto 2021

Il Frutto e la Falce

Il tempo del raccolto rivela, ad ogni ciclo, la natura della propria semina e della propria coltivazione. Ciò che si semina si raccoglie, ma non è detto che si raccolga tutto ciò che si ha seminato.
Quante volte il seme, non attecchendo alla terra, non germoglia?
Eppure è altrettanto vero che potrebbe germogliare in qualsiasi momento, inaspettatamente, perché non esiste un tempo prestabilito perché i semi mettano radici; è il seme che sa quando è il momento giusto per risvegliarsi e prendere vita.
I frutti che maturano nella propria vita nascono sempre dalle intenzioni, dal comportamento e dai sogni seminati in precedenza, e possono portare dolcezza, nutrimento, ebbrezza e quindi gioia e abbondanza, oppure asprezza, insoddisfazione e fame, quando non si tratta di frutti del tutto marcescenti. Ad ogni ciclo scopriamo pertanto i frutti buoni e quelli cattivi, quelli acerbi, non ancora pronti ad essere colti, e quelli che non sono nati, poiché i semi sono rimasti dormienti e il loro tempo non è ancora giunto.
Ognuno di questi frutti è ugualmente importante, perché reca in sé un insegnamento da scoprire e integrare, ma soprattutto, rivela la strada da percorrere. Quella che ci appartiene veramente.
Perché sono i frutti commestibili, quelli più succosi, dolci, e ricchi di nuovi semi, a determinare la natura della semina successiva, ovvero la strada giusta e adatta a noi.

I frutti buoni sono il destino che abbiamo coltivato e che ha risposto alla nostra cura.
È inutile cercare di percorrere la strada rappresentata dai frutti marci: porterebbe solo insoddisfazione, malessere e fame.
È inutile percorrere la strada rappresentata dai frutti acerbi: non è ancora pronta per essere camminata, perché richiede ancora cura e pazienza.
Ed è ancora più inutile percorrere la strada rappresentata dai frutti non nati: non è accessibile, anche se potrebbe diventarlo in futuro.

Accanto ai frutti e alla strada che suggeriscono di percorrere, uno strumento sacro del raccolto è la falce. La falce taglia, miete il grano, l’avena, l’orzo, il riso e tutti gli altri cereali.
Ma la falce miete anche ciò che rischia di soffocare le coltivazioni, o quei rami che, ormai privi di vita, appesantiscono l’albero e non gli permettono di fruttificare al massimo del suo potenziale creativo.
La falce è ciò che occorre utilizzare per liberare la propria coltivazione da ciò che non la fa crescere forte e libera.
Ben affilata, lucida e tagliente, è ciò che serve per porre fine a ciò che porta solo disarmonia, malessere ed esasperazione.
Il suo taglio è netto e preciso, infallibile, e anche se talvolta usarla può essere doloroso, la sua azione è necessaria e irrinunciabile.
Perché il raccolto è morte e vita, e ogni suo aspetto è indispensabile.

Benedetto sia il frutto, e benedetta sia la falce.
E che il destino tracciato dal raccolto sia luminoso e ricco di abbondanza.

giovedì 5 agosto 2021

La Malattia che sconvolse il regno della Regina saggia e giusta

Il mondo in cui viviamo è quanto di più lontano ci possa essere dalla perfezione. Coloro che governano raramente sono considerabili onesti e assennati; al contrario, sono per la maggior parte corrotti, ipocriti e interessati solo al proprio tornaconto personale.
Eppure quanto è successo nell’ultimo anno è probabile che non sarebbe stato molto diverso nemmeno in un regno fiabesco, guidato da una regina saggia e giusta.
La natura dell’essere umano, infatti, è la stessa in ogni tempo e in ogni luogo, e persino nelle fiabe ha sempre mantenuto le proprie caratteristiche innate.

Ho voluto scrivere questa storia – uscita da sola, in poche ore – per raccontare la diffusione di una malattia sconosciuta in un regno tanto diverso dal nostro, quanto per certi versi simile e forse paragonabile.
È una di quelle storie che servono a me per prima, perché mi aiutano considerare la realtà con distacco e in contesti anche diversi da quello attuale, ma forse può servire anche a chi, nutrendo una sensibilità e una percezione delle cose simili alle mie, vi troverà, spero, qualche spunto di riflessione.

***

La Malattia che sconvolse il regno della Regina saggia e giusta

C’era una volta un regno governato da una regina saggia e giusta, che viveva in un piccolo ma accogliente castello, vicino alle abitazioni del suo popolo e alla piazza nella quale si svolgeva un fiorente mercato, al quale si recavano mercanti provenienti da ogni parte della regione.
La vita scorreva tranquilla, con i suoi alti e bassi, ma sebbene ognuno nel regno vivesse una vita semplice e piena, vi era sempre chi era scontento e insoddisfatto.
La regina si prodigava nel dispensare al popolo tutto ciò di cui aveva bisogno, trattenendo per sé solo lo stretto necessario e assicurandosi che anche gli animali avessero sempre cibo in abbondanza.
Era molto amata dalla maggior parte delle sue genti, che la ascoltavano, si fidavano di lei, e la riempivano di elogi, e lei, che pure non amava soffermarsi sugli onori che le venivano rivolti, era lieta del loro affetto, che ricambiava calorosamente.
Un giorno di fine inverno, una terribile sciagura irruppe nel villaggio.
Dopo una giornata di mercato, nella quale molti forestieri si erano accalcati davanti ai banchi pieni di mercanzia, due fratelli tornarono a casa accusando malessere e una forte difficoltà a respirare.
Le medichesse del regno, che vivevano accanto al castello della regina, accorsero per tentare di capire quale male li affliggesse, e somministrarono loro tutte le cure che pensavano avrebbero alleviato la loro sofferenza. Ma a nulla valsero i loro medicamenti e la loro conoscenza, i due fratelli peggiorarono ora dopo ora, e alcuni giorni dopo morirono.
Di lì a poco, altri abitanti del villaggio cominciarono ad accusare gli stessi sintomi, compresa una delle medichesse che, più delle altre, si era prodigata nel tentativo di curare i primi affetti. E se qualcuno riuscì malamente a rimettersi in salute, gli altri morirono.
La medichessa malata, accudita amorevolmente dalle sue compagne, tentò a fatica, poiché il respiro le veniva meno, di descrivere accuratamente cosa sentisse, così che i suoi ultimi istanti di vita fossero utili alle altre per curare chi subiva il contagio, poiché, ormai era chiaro, una grave e sconosciuta epidemia si stava diffondendo nel regno, e la necessità di conoscerla per poterla curare era impellente.
Le medichesse, con spesse bende legate attorno alla bocca e al naso, per limitare gli umori emanati dal loro respiro e dalla loro parola, trascrissero i sintomi della loro amata compagna, fino all’ultimo battito del suo cuore. Poi, senza nemmeno il tempo di piangerla, cercarono ogni sorta di rimedio. Nessuno però sembrava funzionare, e giorno dopo giorno l’epidemia avanzava, con le sue febbri e i suoi tormenti.
La medichessa più anziana si recò allora dalla regina, che seguiva con apprensione tutto ciò che succedeva nel regno.
“È necessario che prendiate una decisione difficile”, le disse. “Non avete altra scelta. Dovete chiedere al popolo di non uscire dalle proprie case, e di adottare ogni mezzo che possa limitare il contagio. Altrimenti molti altri moriranno, e la malattia non potrà essere sconfitta.” La regina si lasciò ricadere sulla sedia, davanti al focolare spento, poiché la sua ancella più fidata languiva nel proprio letto in preda alle tossi.
Le lacrime rigarono il suo volto. Come poteva chiedere alle sue genti un simile sacrificio?
Eppure non poteva fare altro che ascoltare la medichessa, sperando che gli abitanti del villaggio, davanti alle perdite subite e nel timore di provocarne altre, accogliessero di buon grado la sua richiesta. Dopotutto, di fronte al dolore e alla morte, era ben poca cosa.
Per evitare che il popolo si riunisse nel cortile del castello, rischiando di moltiplicare il contagio, la regina inviò a ogni famiglia una lunga lettera, consegnata dal suo messaggero e chiusa dal sigillo regale.
La lettera chiedeva, con calma e allo stesso tempo con fermezza, di non uscire dalle proprie case, o di farlo solo in casi di estrema necessità, di purificarsi frequentemente con acqua di sorgente ed erbe medicinali, e di utilizzare bende attorno alla bocca e al naso, così che gli umori non venissero diffusi e respirati da altri.
Gli abitanti del regno deposero i propri attrezzi da lavoro, e seguirono ciò che la regina aveva disposto per proteggere la loro vita e per far sì che l’epidemia si estinguesse nel più breve tempo possibile.
Ascoltarono, e fecero quanto richiesto. Almeno in un primo momento.
Poco a poco, emersero infatti alcune voci discordanti, che si sovrapposero a quelle che cercavano di mantenere calma e armonia, fino a tentare di spegnerle. Queste voci denunciavano l’irregolarità delle richieste della regina, la sua mala fede, tanto da arrivare a definirla una crudele tiranna che, in accordo con le medichesse, ambiva a dare origine a un regno di schiavi obbedienti e privi di libertà.
Dapprima si trattò solo di voci isolate – che si esprimevano tutte nello stesso modo e ripetevano tutte le stesse parole, così che queste si imprimessero facilmente nelle menti più impressionabili – e vennero ascoltate solo da coloro che, in cuor proprio, avevano sempre provato astio o invidia per la regina e per il suo potere. Ma col tempo le voci crebbero anche fra i meno sospettabili, e diventando più forti portarono confusione, ribellione e frequenti episodi di violenza.
Più a lungo si protraeva il periodo che la regina aveva predisposto perché l’epidemia si estinguesse, più numerosi erano i dissidenti che, riunendosi fra loro in segreto, si fomentavano a vicenda e allo stesso tempo non permettevano ai contagi di esaurirsi, rendendo sempre più pesante, teso e ostile il clima nel regno.
Qualcuno iniziò ad affermare che l’epidemia non esisteva affatto, che era tutto un inganno tramato dalla regina, e che sarebbe stato solo l’inizio della schiavitù. E i più suggestionabili, i più spaventati e i più arrabbiati ci credettero.
Le buone medichesse, che sino a quel momento erano state onorate e trattate con ogni riguardo, vennero paragonate ad assassine assoggettate al potere regale, che invece di curare i malati provocavano loro la morte. E i più dissennati ci credettero.
La regina, che dopo aver seppellito la propria amata ancella tentava in tutti i modi di arginare l’epidemia, manteneva le ordinanze che avevano lo scopo di limitarne la diffusione, tenendola per quanto possibile sotto controllo, ma il suo cuore sanguinava nel doverlo fare, e la preoccupazione le attanagliava lo stomaco quando apprendeva delle interpretazioni distorte che venivano date alle sue azioni.
Nel frattempo le medichesse, alcune delle quali, nel curare gli affetti, avevano a loro volta contratto l’infezione ed erano morte, lavoravano senza tregua per creare una cura mai sperimentata prima, che prevenisse la malattia, poiché tutte quelle tentate sino a quel momento per curarla non erano state efficaci, o lo erano state solo in parte.
Ci vollero molti mesi, durante i quali la ribellione continuò a crescere, e anche coloro che nel regno tentavano di mantenere la calma e l’armonia, fecero sempre più fatica a sopportarne la tensione. Quando finalmente il medicamento che poteva prevenire la malattia fu pronto, l’opposizione era arrivata a tal punto che la medicina venne considerata un veleno, e in molti la rifiutarono.
Le medichesse, che avevano messo anima e corpo nella ricerca, si accasciarono esauste, con gli occhi velati di tristezza, e ricordando le compagne morte nel tentativo di curare i malati, piansero amaramente. Ma non si arresero. Estinguere l’epidemia era molto più importante di coloro che si opponevano al medicamento, e che oltretutto non facevano nulla per fermare il contagio. Pertanto, promisero che avrebbero fatto qualsiasi cosa per adempiere al loro sacro giuramento.
Consultarono la regina, e si decise che, per breve tempo, solo coloro che assumevano la medicina, e coloro che per problemi di salute non avevano la possibilità di assumerla, avrebbero potuto muoversi liberamente nel regno, tornando a una normalità che, tuttavia, appariva diversa da quella che avevano vissuto sino a poco tempo prima.
Questa ulteriore ordinanza inasprì gli oppositori, che raggruppati nel cortile del castello urlavano contro la privazione della propria libertà personale e accusavano la regina dei peggiori e più crudeli crimini.
E se coloro che, ormai immuni al contagio, facevano fatica a sostenere la presenza dei dissidenti, questi ultimi non risparmiavano ingiurie contro i primi, così che il popolo, ormai disgregato e in perenne contrasto, dimenticò il tempo in cui operava insieme per un fine comune: l’armonia e il benessere di ogni essere vivente.
L’armonia e il benessere di ogni essere vivente che la regina si era sempre preposta di mantenere nel proprio regno, e che anche in quel momento tentava con ogni mezzo di ristabilire.

Non è dato sapere quanto tempo occorse perché tutti i focolai della malattia venissero domati ed essa fosse definitivamente sconfitta, ma furono anni difficili, nei quali la regina dovette fare ricorso a tutto il suo coraggio per mantenere un’autorità ferma e severa che mai avrebbe voluto assumere nei confronti del suo popolo.
Il regno della buona regina, che sembrava destinato a durare a lungo, finì in breve tempo.
Dopo essersi assicurata che tutto fosse tornato alla normalità e che le sue genti stessero bene, abbandonò il castello insieme ad alcune ancelle e alla più anziana delle medichesse, e si ritirò in una semplice casa sulle rive di un lago isolato, dove visse nella quiete fino alla fine dei suoi giorni, certa di aver fatto tutto ciò che era in suo potere per vincere quella battaglia.
Le altre medichesse, invece, rimasero nel regno a vegliare contro la malattia. Erano loro ad averla conosciuta e sconfitta per prime, e sebbene il loro contributo venisse ormai riconosciuto da pochi, e ci fosse ancora chi rivolgeva loro sguardi ostili, la loro conoscenza era troppo preziosa perché si perdesse.
Doveva essere tramandata a tutte coloro che, mosse dalla stessa vocazione, sarebbero venute dopo.

Quanto alle genti del popolo, coloro che avevano accettato i sacrifici come necessari, traendone insegnamento, ritrovarono presto pace e armonia; e coloro che si erano opposti rabbiosamente, senza ammettere di aver sbagliato, cercarono altri motivi per ribellarsi, oppure ne inventarono di nuovi.
Qualcuno però, di fronte all’evidenza della realtà, vide ciò che sino a quel momento aveva rifiutato di vedere, e comprendendo, smise finalmente di credere alle menzogne.

***

Questo è ciò che la regina disse alle sue ancelle, nel giorno in cui l’epidemia ebbe inizio.

Ancelle mie,
tempi duri ci aspettano, nei quali dovremo fare molti sacrifici, e praticare a lungo l’arte della pazienza.
La malattia ci ha colte impreparate, porterà morte e separazione, e molto tempo passerà prima che essa diventi solo un lontano ricordo.
In questo tempo, vegliamo.
Manteniamo alta la fiamma che illumina l’oscurità. E quando qualcuna di noi cadrà nel buio, e vedrà la propria fiamma affievolirsi, prestiamole la nostra, e aiutiamola a rialzarsi.
Manteniamo l’armonia nel caos,
il silenzio nel trambusto,
la calma nel conflitto.
Portiamo messaggi dettati dall’esperienza della realtà, così che non siano le menzogne di coloro che la realtà la temono e la rifiutano ad avere il sopravvento.
Coloro che tenteranno di fare del bene, e rischieranno la loro vita per gli altri, verranno considerate portatrici di sciagure.
Coloro che diffonderanno falsità e confusione, verranno considerati saggi, e saranno creduti.
Prendendomi cura delle mie genti, verrò reputata una tiranna.
Per proteggere la loro libertà futura, sarò accusata di renderle schiave.
Il mio impegno sarà riconosciuto da pochi, il mio regno sarà presto dimenticato.
Ma noi ricorderemo,
in ogni momento ricorderemo il nostro ruolo,
e sapremo che abbiamo fatto del nostro meglio.

Abbiate coraggio, ancelle mie,
anche quando coloro che sentivate sorelle si riveleranno nemiche, e vi tratteranno con ostilità.
E quando vi sentirete sole e incomprese, sappiate che io sono con voi.
Combatto al vostro fianco, vi porgo la mia fiamma,
e prendendoci per mano ritroveremo l’armonia, il silenzio, la calma.

Abbiate coraggio, ancelle mie,
anche se pochi, o nessuno, comprenderà il nostro operare,
anche quando la nostra voce e i nostri gesti verranno distorti.
Tenete duro, poiché la strada intrapresa è quella giusta.
Di questo non dovete mai dubitare.

Usciremo dall’oscurità,
e quando il tempo della guarigione sarà giunto per tutti,
accoglieremo la nuova alba,
e nella sua luce potremo rinascere.


***

Racconto di Laura Violet Rimola. Nessuna parte di questo testo può essere condivisa, riprodotta o utilizzata in alcun modo e con alcun mezzo senza il permesso dell'autrice.

domenica 1 agosto 2021

L'energia dispettosa, Exu e il sacro conflitto

Esiste un’energia dispettosa che può manifestarsi come intervento esterno o come un impulso interno, che agisce inaspettatamente per creare scompiglio, per smantellare le certezze, per provocare conflitto e, di conseguenza, aprire a possibilità diverse e non considerate.
Quando si presenta dall’esterno, il suo intervento è percepito come un imprevisto, perlopiù fastidioso, quasi come un dispetto del destino e delle circostanze, che però crea una situazione diversa che alla lunga può rivelarsi migliore di quella precedente.
Se agisce dall’interno, invece, si presenta come impulso del carattere o come un’esigenza irresistibile e temporanea, che porta ad agire in modi insoliti e a provocare conseguenze forse spiacevoli, ma necessarie.

Sin da bambina ho fatto esperienza di una parte di me fortemente ribelle, che emergeva nei momenti in cui percepivo il senso d’ingiustizia, e allo stesso tempo di impotenza. Questa parte ribollente trovava l’unico modo di esprimersi, e di riscattarmi almeno un pochino, attraverso il dispetto. Erano dispetti rari, innocenti e innocui, eppure riuscivano a trasformare la frustrazione e la rabbia in energia giocosa, e quindi benefica.
Col passare degli anni quella parte di me è stata perlopiù dormiente, non avendo bisogno di emergere, ma nei momenti di maggiore ingiustizia e impotenza è sempre tornata a farsi sentire, suggerendomi piccoli accorgimenti per riscattarmi e smorzare le ingiustizie rendendole, in un certo qual modo, meno pesanti e meno dolorose.

Attraverso la lettura e le ricerche sono arrivata a conoscere alcune delle divinità trickster, quelle che incarnano proprio l’energia del dispetto, dello scherzo, ma anche di quelle azioni intenzionalmente volte a creare conflitto e caos, così che le energie possano mescolarsi, rigenerarsi, e assumere nuove forme. Queste entità, o l’energia che a loro viene attribuita e che abita in alcune/i di noi, emergono soprattutto quando certe situazioni sono arrivate al loro limite e necessitano di un taglio, di un rimescolamento, di uno scontro, di una rottura o di una netta separazione, che portino al delinearsi di nuovi percorsi.

Come energia interiore dispettosa, conflittuale, talvolta distruttiva, personalmente la sperimento in modo naturale e istintivo soprattutto quando entro nella fase premestruale. In questo momento, ciò che fino a poco prima era sopportato malamente diventa insostenibile, e la necessità di creare scontro o l’istinto del dispetto, diventano irresistibili.
Sono cosciente delle conseguenze che questi momenti provocano, anche se mi ci sono voluti anni per riuscire a gestire almeno un pochino questa energia irriverente, decidendo in quali occasioni valesse la pena lasciarla agire, ovvero se le perdite e i danni che avrebbe potuto creare fossero davvero voluti e necessari.
Sta di fatto che ogni volta che ha chiesto, anzi, preteso attenzione, e ha agito più o meno liberamente, il rimescolamento che ha creato è sempre stato – anche se a volte non subito – benefico per me e per il mio percorso.

Nelle varie culture esistono molte divinità o entità sottili che incarnano l’energia del trickster, e una delle più ispiranti fa parte, ancora una volta, della mitologia afro-brasiliana del candomblé.
Si chiama Exu, e anche se è reputato un Orixà pericoloso e scomodo, è anche uno dei più amati.

Questi sono alcuni brani ispiranti che parlano di lui, tratti dal libro di Marcella Punzo, e legati fra loro da alcuni miei brevissimi interventi:

Nel candomblé più che l’idea del male esiste quella di disturbo, perturbazione, disordine (…).
Exu è l’Orixà che incarna questo disturbo, il quale può manifestarsi nella forma dell’inganno, dello scherzo, del dispetto, dell’impiccio, del caos.
(...) a lui piace creare disordine, conflitti, scompigliare le carte, costringere a rifare progetti e rivedere cammini. A lui piace svelare continuamente l’illusione del reale, mostrandone le molteplici facce. Crea scompiglio per ricordare, a chi ne sa ascoltare i messaggi, che forse è possibile costruire un nuovo ordine più giusto e fecondo, separa per mostrare l’inganno di unioni infondate e spinge a cercare nuove unioni e nuove sintesi. È una divinità scomoda (…) un “trickster” (…). Ma non è lui a generare il male, piuttosto lo fa venire a galla, forse per evitare mali peggiori.

Exu è l’entità più vicina al disordine, alla separazione, al conflitto, all’irascibilità, e talvolta è stato identificato con il diavolo, anche se questa assimilazione è un retaggio dell’epoca della schiavitù, “quando i neri attribuirono a questo Orixà il potere di vendicare umiliazioni e maltrattamenti. (…) Exu era l’ultima speranza di giustizia (…).

Suscettibile e dispettoso, può diventare il più benevolo degli Orixàs se trattato con la dovuta considerazione.”
(...) così come può ingannare e creare malintesi, è anche capace di dirimere equivoci e svelare la verità, perché in lui si racchiude il “mistero della parola e dell’esistenza”.
(...) la sua forza provocatoria e disturbatrice è capace però di superare conflitti, divisioni, rotture, alla ricerca sempre di nuovi orizzonti, nuovi significati, nuovi equilibri. La sua parola può suscitare rivoluzioni, ma ha anche il potere di trasformare la realtà.

Il lavoro di trasformazione e di elaborazione esige sacrifici. E allora, per chi separa senza mai riunire, per chi prende, ingoia senza restituire e dimentica di dare, Exu può diventare un’entità punitiva (…).

Raramente gli esseri umani sono in armonia con i propri desideri profondi, con “un vero e proprio bisogno di agire, le cui conseguenze tracciano il giusto cammino di trasformazione e di evoluzione di ognuno.
Exu allora interviene invisibile a creare disordini e impedimenti su quei percorsi sbagliati, in modo che gli esseri umani possano tornare in sé e interrogarsi.

Brani tratti da Marcella Punzo, Le Grandi Madri del Brasile, pagg. 110-117.

***

Spesso entità come Exu, o l’energia che dentro di noi le rappresenta, sono bandite, malgiudicate, considerate sbagliate, inopportune, e quindi restano inascoltate.
Eppure si manifestano, specialmente quando c’è più bisogno di loro, e che intervengano dall’esterno o dall’interno, il rimescolamento che creano è sempre necessario.

Per quanto mi riguarda, forse non risulterò sempre amichevole, pacifica e tollerante, ma per me accogliere e lasciar scorrere questa energia perturbatrice, a volte sarcastica, scontrosa e scomoda, a volte soltanto impertinente e giocosa, è qualcosa di irrinunciabile.
È anche grazie a questa energia dispettosa se in certi momenti ho il coraggio di dire ciò che penso anche se non piace e provoca rabbia; se posso generare il caos che rimescola le carte, creare i conflitti che permettono di tagliare rami secchi, rompere gli schemi per scoprire nuove possibilità.
E non posso, né voglio farne a meno.

Benedico senza condizioni questa energia scomoda e disturbatrice, esterna ed interna, che attraverso lo scompiglio abbatte gli equilibri precari per dare origine a nuovi ordini e ad equilibri più sicuri.
Onoro questa energia perturbante, perché è il movimento che si oppone al ristagno, grazie al quale la trasformazione e il raggiungimento di una vera armonia possono realizzarsi.
Illustrazione di Pauliina Hannuniemi