sabato 23 maggio 2020

La Stanza delle Erbe

Certe parole agiscono come un richiamo. Diventano chiavi per aprire piccole porte dimenticate, oltre le quali è nascosto qualcosa che vuole farsi conoscere o riscoprire. Può succedere in molte situazioni diverse, ma credo che ogni volta che una parola o una frase agiscono da richiamo, ovvero da chiave, sia sempre importante seguirle.
A volte sono parole-chiave che aprono porte oltre le quali si accede a paesaggi inaspettati, nei quali si delineano strade da scoprire e percorrere; altre volte le porte si aprono all’interno di stanzette polverose e piene di libri, di mazzolini di erbe appese ad essiccare, di boccette piene di essenze profumatissime, e di cofanetti di legno antico, dentro i quali sono conservati granelli di resine dorate, ricche di fragranti promesse.
Ed è proprio questa la porticina che ho voluto aprire, guidata da parole sentite quasi di sfuggita, che però hanno agito da richiamo e mi hanno costretta a fermarmi e ascoltare.
Sono tornata a cercare nei libri, per ricordare le proprietà sottili di erbe e fiori, ho riaperto flaconcini e il profumo che contenevano mi ha portata indietro nel tempo.
Mi sono innamorata di nuovo dei profumi che ho sempre sentito miei, e di quelli che riportavano alla memoria situazioni passate in cui la magia era stata viva e presente.
Ho sempre sentito un legame naturale con le essenze agrumate, sia ottenute dalla buccia degli agrumi spremute, come il bergamotto, l’arancia, il limone, il mandarino, sia da erbe aromatiche dal profumo simile ma più erbaceo, come la mia amatissima melissa, la verbena, la cedrina, il lemongrass, la litsea. Mi mandano quasi in estasi, e in esse mi riconosco.
Vi è però un’essenza che mi inebria completamente: quella di fiori d’arancio. La adoro in modo smisurato e vorrei nuotarci dentro ogni volta che la sento.

In quella stanzetta polverosa e profumata, ho ritrovato anche una vasta varietà di resine, e anche se di molte non ricordo il nome, ne ho spolverato pacchetti di carta e vasetti di vetro, ridando loro una considerazione che avevano perduto da tempo.

Adesso vorrei ricordare le antiche tradizioni ed energie sottili legate a questo misterioso e benefico regno vegetale. Voglio ricominciare ad esplorare questa stanzetta, spolverarla, rimettere a posto ciò che contiene – ogni vasetto, cofanetto o boccetta sul proprio scaffale – e all’occorrenza, utilizzare i suoi erbacei tesori.
Non ho nulla di particolare da chiedere, nessun desiderio da realizzare preparando pozioni e formule magiche, solo un pochino di pulizia e chiarezza, purificazione e protezione dalle energie caotiche e pesanti che riempiono il mondo degli esseri umani; e armonia, soprattutto, da offrire e ricevere, in uno scambio reciproco con i reami spirituali.
Il solo gesto di offrire fragranze e buone energie alla Grande Madre e alle entità sottili, ovvero al loro spirito immanente che accoglie, rigenera e restituisce, mi fa sentire bene.
Forse perché per me è questa, soprattutto, la magia verde. Semplicità e naturalezza, offerte che vengono dal cuore, e in caso di necessità, gentili preghiere rivolte al sole, alla luna, alle stelle, nella certezza che si verrà ascoltate.
Perché, che lo si creda oppure no, si viene sempre ascoltate.
Illustrazione di August Ro

giovedì 21 maggio 2020

Ritrovare il coraggio di sostenere la propria verità

Una delle cose che sto imparando in questo periodo è avere il coraggio di sostenere ciò che penso e sento. Sembra qualcosa di facile e di logico, ma per me è sempre stato difficile entrare in contrasto con gli altri. Non ho mai potuto fare a meno di farlo, perché non ho mai potuto fare a meno di sentire, e molte volte il mio sentire era diverso da quello degli altri. Ma dopo un primo momento di attrito, sono sempre stata io quella che tornava sui suoi passi, che mitigava, limava, ammorbidiva, e cercava di rimettere le cose a posto, arrivando a prendersi responsabilità non sue e a “dar ragione agli altri” pur di mantenere un’amicizia e favorire una riconciliazione.
Mi sono scusata tante di quelle volte, anche quando non avevo alcuna colpa, che ho finito per credere di avere molte più colpe di quante ne avessi realmente, e di sbagliare dove in realtà non sbagliavo affatto. Il mio sacco delle responsabilità è sempre stato il più grande di tutti, anche se a guardarci dentro, non riconoscevo quasi nulla di veramente mio.
Per contro, non ho mai visto un atteggiamento simile nei miei confronti. E mi sono presa la colpa anche di questo, mentre chi stava dall’altra parte se ne è sempre andata/o indenne, e soprattutto incurante di ciò che le sue azioni – le sue, non le mie – potevano aver provocato.

In questo ultimo periodo ho capito che, nonostante i miei sforzi, magari impercettibili per gli altri ma molto faticosi da parte mia, tutto questo non è servito a niente.
E allora lascio la presa, accolgo questo cambiamento e lascio finalmente libera quella parte di me che non si tira indietro per paura di perdere qualcosa, ma sostiene ciò che sente, fino in fondo.
Spesso sono quella fuori posto, quella scomoda, inadatta e diversa – e il più delle volte lo sono. Non sono mai stata zitta davanti alle ingiustizie, e a ciò che io percepivo come ingiustizia, e chi mi conosce lo sa bene, ma dopo la prima fiammata mi sono sempre defilata, scusandomi per il calore del mio fuoco.
Ora non lascerò più che questo succeda. Lo devo a me stessa.
Ma con una differenza rispetto a tante altre persone. Non lascerò che ciò che sento e penso agisca su chi apprezzo e rispetto in modo esclusivo e separatista.
In poche parole, non mi comporterò come tante hanno fatto con me.
Sostenere ciò che sento, infatti, comprende anche sostenere ciò che sono, e certe cose semplicemente non mi appartengono.

Forse devo ringraziare molte situazioni generate da questo periodo di prova e rivelazione, perché stanno forgiando parti di me necessarie a permettermi di vivere in modo pieno. E le ringrazio, perché nel bene e nel male hanno portato chiarezza, pulizia e leggerezza, sia fuori, sia dentro di me.
Ringrazio e onoro le difficoltà, le gioie, le sofferenze, perché mettono alla prova la mia fedeltà e mi permettono di ritrovarmi ogni volta che, distratta da ciò che mi circonda, mi perdo.
Così posso riconoscere i frammenti nascosti della mia verità, sostenerli con coraggio, essere in pace con me stessa, e guardare il mondo con occhi liberi e puliti.
Illustrazione di Yelena Bryksenkova

mercoledì 20 maggio 2020

Le Figlie delle Acque

Le mie letture
Le figlie delle acque


Qualche giorno fa ho ripreso in mano un vecchio libro che diversi anni fa avevo letto solo in parte, e rileggendolo in soli due giorni me ne sono innamorata, tanto che non riesco a separarmene. Per quanto non abbia apprezzato certi giudizi dell’autore, nonché la mancanza di note bibliografiche che permettano di risalire alle fonti e ampliare così la ricerca, gli spunti che il libro offre sono infiniti, e per ognuno si aprono nuovi sentieri di ispirazione e di ricerca, tanto che il nutrimento che riempie le pagine sembra inesauribile.
Mentre ho iniziato a trascrivere gli appunti per una nuova ricerca, legata ad una delle figure acquatiche presenti nel libro, lascio che certi brani e citazioni continuino a cantarmi dentro, proprio come le fascinose Sirene…
Voglio appuntare qui alcuni brani, nei quali sono raccontate divinità orientali delle acque che, per le loro caratteristiche, mi ricordano tanto certe leggende europee e alpine, e le magiche virtù che erano attribuite alle donne-dee e alle sacerdotesse arcaiche, ovvero la verginità intesa in senso antico, la metamorfosi che permetteva il passaggio da un regno naturale all’altro, e il volo sottile.

***

T’ien-fei è venerata come protettrice dei naviganti e dea della fecondità. I templi innalzati in suo onore costeggiano i fiumi. (…) Lo Spirito dell’acqua è femminile e vi sono tre T’ien-fei. T’ien-fei nacque nell’isola di Mei-tcheou. Non fu concepita nel solito modo, ‘ma mediante la masticazione di un fiore misterioso, chiamato Yeou-pouo-hoa, o anche Yeou-t’an-pouo, che la dea Koan-in donò a sua madre’ (…).
T’ien-fei nacque quattordici mesi dopo il suo concepimento nel seno materno, il ventitreesimo giorno del terzo mese dell’anno 742 a.C. A cinque anni recitava preghiere e danzava in onore degli Spiriti. Un giorno spiccò il volo, e, divinità protettrice, salvò i suoi fratelli alle prese con il mare scatenato uscendo dal suo corpo. Rifiutò di maritarsi e morì nella casa di suo padre Lin.


Michel Bulteau, Le figlie delle acque, pag. 129

***

La dea del Wou-chan

Sul monte della Strega si trovava il Kao-t’ang, santuario della divinità Yao-ki riverita dai re. Sopra il santuario vi erano due nuvole vaporose: Tchao-yun, la Nube mattutina e Hing-yu, la Pioggia regolare. Come è detto da Song Yu nel Kao’-t’ang fou:
‘Accadde un giorno che il vecchio re venne a passeggiare a Kao-t’ang; stanco, si addormentò in pieno giorno e vide in sogno una giovane donna che gli disse: ‘Io sono la figlia più giovane del Sovrano, il mio nome è Yao-ki. Morta prima di sposarmi, ho ricevuto in dominio la Terrazza di Wouchan. La mia anima è diventata una pianta che, una volta raccolta, si trasforma in erba magica, chi la mangia può sedurre chi vuole o incontrarlo in sogno. (…)’
(…)
Quando si separarono la dama gli parlò in questi termini: ‘Io risiedo nel Wou-chan, nei dirupi di questa montagna. All’alba, sono Tchao-yun, la Nube mattutina, la sera sono Hing-yu, la Pioggia regolare; e così ogni mattina e ogni sera, ai piedi della Terrazza meridionale.’

L’Immortale era anche la Dama Efflorescente delle nuvole.
(…)
La dea iniziata al Tao poteva deviare i venti e domare i fenomeni naturali, ritornare spirito e trasformarsi in intelligenza volante. È una figlia della Madre del Metallo e il passaggio dei regni non ha per lei alcun segreto:
‘Si era trasformata in pietra, poi la vide che s’involava improvvisamente per dissolversi in una leggera nuvola, poi che si immobilizzava, si condensava e diventava una pioggia vespertina; la vedeva tramutarsi ora in un drago che si divertiva, ora in una gru che svolazzava qua e là: ella assumeva così mille forme e apparenze diverse, tanto che Yu non la poteva avvicinare.’
(…)
‘L’apparire e scomparire, il trasformarsi è per lei del tutto naturale: ha saputo condensare il Soffio, realizzare la condizione dei Tchen (Immortali) e conformarsi al Tao. (…)’

Le presenze si corrispondono, e la dea delle acque tiene tra le braccia l’Uovo del Mondo. Questa unione accessibile si fonda sulla Natura.


Michel Bulteau, Le figlie delle acque, pagg. 133-135

***

All’inizio di ogni mese, la madre delle dodici lune, (…) immerge le sue figlie in un lago. Queste dodici lune rappresentano i dodici mesi lunari. Un misterioso cocchiere, uomo o donna, conduce il carro delle lune.
Nella luna vi sono due animali: la lepre e il rospo, che è forse un’incarnazione di Tch’ang-ngo, la moglie dell’arciere Yi. Al centro della luna si erge un palazzo: il Palazzo del Freddo Immenso (Kouang-han kong) riccamente lavorato e lastricato d’oro. La regina di questo palazzo è Tch-ang-ngo che ama rimirarsi nel suo specchio a mano. Le sue servitrici sono delle ‘bianche giovani’ che indossano lunghi abiti e grandi cinture, suonano diversi strumenti, cantano e danzano spargendo fiori.
La luna (…) è acqua e dispensa le prime tappe del cammino d’Immortalità.


Michel Bulteau, Le figlie delle acque, pagg. 135-136

***

Leggo questi brani e sento di appartenere ad essi e a ciò che narrano, anche se provengono da terre lontanissime.
E in un mondo disincantato, dove anche chi si occupa di spiritualità non riconosce e nega le virtù magiche delle antiche maestre, io continuo a cercare loro, e loro soltanto. Perché la loro voce armoniosa è l’unica che voglio ascoltare.

lunedì 18 maggio 2020

Di cosa ti vuoi nutrire veramente?

Di cosa ti vuoi nutrire veramente?
Ieri, leggendo le parole di una amica che ha deciso di interrompere la lettura di un libro perché troppo torvo, dicendo che “non era di questo che voleva nutrirsi”, ho riconosciuto ciò che anche io cerco sempre di fare, interrogandomi spesso e ascoltando le risposte che vengono da dentro. Di cosa ti vuoi nutrire veramente?
La risposta è sempre la stessa, mi voglio nutrire di bellezza, nelle sue infinite forme. Anche di quella bellezza che è fatta di ombre e penombre, di dolore e resistenza, perché sono ancora umana, per adesso, e la realtà in cui vivo è fatta anche di questo.
A seconda dei periodi della mia vita sono stata più o meno attenta al nutrimento che davo a me stessa. Ci sono stati momenti in cui sceglievo accuratamente ogni cibo, e mi nutrivo solo ed esclusivamente di bellezza, perché ero completamente immersa nella magia, nell’armonia… o almeno così credevo.
Poi sono caduta, e ho avuto bisogno di nutrirmi di vita, di qualsiasi cosa potesse mantenermi viva. E mi sono nutrita di tempo.
Dentro di me avevo fame, ma no riconoscevo più il cibo dell’anima. Così mi nutrivo di tempo, rassicurandomi, dicendomi che avevo solo bisogno di tanto, tanto tempo, e che col tempo avrei ricominciato a sentire. Ho imparato a nutrirmi di pazienza, e continuando a farlo, giorno dopo giorno, la pazienza è diventata parte di me, e ho compreso l’arte del saper aspettare e dell’agire lentamente.
Mi rendo conto che ogni cosa di cui mi sia veramente nutrita, o mi stia nutrendo anche adesso, è parte di me e mi sostiene, così come un cibo nutriente sostiene il corpo e lo rende abbastanza forte da camminare lontano.
Però per me resta necessario nutrirmi solo di certi cibi, il più possibile semplici, sani e buoni per l’anima, oltre che per la testa e il corpo. Credo che scegliere di cosa nutrirsi, e cosa allontanare risolutamente, sia davvero importante, e permetta di elevare le energie della propria vita. Stare immerse in energie buone, armonizzanti, talvolta ravvivanti e rafforzanti, talaltra rilassanti e rigeneranti, ma sempre tendenzialmente alte, purifica dalle tossine sottili e potrebbe richiamare il verificarsi di avvenimenti che vibrano sulle stesse frequenze, o addirittura più in alto, e che di certo sono cibo delizioso e ambito per l’anima.
Cibo di cui nutrirsi senza timore, in abbondanza, e grazie al quale ogni parte di sé può vivere pienamente.

Di cosa mi voglio nutrire?
Voglio ricordare di chiedermelo ogni giorno.
Per oggi, credo che mi nutrirò di sole, di fiori colorati, di letture ispiranti nelle quali donne magiche si mutano in acquatici serpenti, e bellissime fate cantano con la loro voce melodiosa sulla cima di rocce che si gettano a picco sul fiume, e di tutto ciò che possa farmi sentire viva dentro e presente a me stessa. Nelle mie luci, e nelle mie ombre.
Illustrazione di Kass Reich

sabato 16 maggio 2020

L'Arte di rimanere fedeli a se stesse

Nel chiedermi quanto sia disposta a perdere e a sacrificare per rimanere fedele a me stessa, qualche giorno fa, ho lasciato che fossero proprio la perdita e il sacrificio a lasciare il segno più profondo nei pensieri e nelle parole scritte, forse perché in quel momento risentivo di più dell’abbandono e la tristezza ha offuscato la mia reale percezione delle cose. Una percezione che di solito è molto più chiara, e quindi serena. Ho tralasciato l’unica cosa veramente importante, ovvero la consapevolezza che se si genera abbandono, se avvengono perdita e sacrificio quando si sceglie di rimanere fedeli a se stesse, allora ciò che abbandona o si abbandona, ciò che si perde e si sacrifica, non era nostro sin dal principio, e non avrebbe comunque mai potuto fare parte integrante della nostra vita.
Ed è giusto che si allontani, o che venga reciso.

Superata la tristezza iniziale, infatti, quale gioia ed entusiasmo emergono nella certezza di aver ascoltato e lasciato libera espressione alla propria verità interiore? Quale senso di pace, quale armonia si instaurano in chi è fedele a se stessa fino al punto di lasciar cadere il peso di ciò che non le appartiene, e non avrebbe mai potuto essere suo?
Non è una consolazione, è la vera ragione. E quella presenza dentro di sé, che annuisce e sorride perché è stata ascoltata, perché è stata rispettata, accolta, e nel crollo di ciò che, in ogni caso, non si sarebbe retto in piedi a lungo, è rimasta saldamente in piedi, non può che gioire.
Stare dentro di lei, stare all’interno e lasciarsi guidare da lei, porta pace e un senso di appagamento che nulla di esterno può generare, e che supera ogni abbandono, vale ogni sacrificio, riempie ogni perdita.
Solo così è possibile procedere più leggere sulla propria vera strada, e anche incontrare i luoghi, gli accadimenti, le persone veramente in sintonia con la propria interiorità. Quelli che non chiederebbero mai di essere diverse da ciò che siamo, che non chiederebbero mai di tradire se stesse, che non vorrebbero mai che non fossimo fedeli a noi stesse. Al contrario, si armonizzano proprio con ciò che siamo, e portano crescita, e preziosi doni quotidiani e magici che non sono per nessuno, solo per noi.

L’arte sacra di rimanere fedeli a se stesse può trasformare le condizioni della realtà che ci circonda, rendendole più adatte ad accogliere e contenere ciò che la vita ha da offrire proprio a noi. E restare fedeli a se stesse porta altresì ad una trasformazione che porterà ad assomigliare, sempre di più, alla verità che brilla dentro, che non si lascia corrompere, che illumina la strada, e che, dopotutto, basta a se stessa.
Illustrazione di Yelena Bryksenkova

domenica 10 maggio 2020

Sacrificio e Fedeltà a se stesse

Quanto sei disposta a perdere e a sacrificare per rimanere fedele a te stessa?
Questa è una domanda che mi sono fatta tantissime volte, e che continuo a farmi ogni volta che se ne presenta l’occasione. E la mia risposta è sempre stata solo una: tutto ciò che serve.
È sempre molto facile dire o fare ciò che gli altri vogliono o si aspettano, stare dalla parte di chi si sente che abbia più potere, più bellezza, più seguito, più carisma, anche in ambito “spirituale”, anche se in realtà non si condivide proprio del tutto ciò che diffonde. Ed è altrettanto facile, nel momento in cui proprio non si condivide qualcosa, stare in silenzio e fare finta di nulla, per non creare attrito, per non avere problemi, per non perdere la possibilità di entrare in quella cerchia, o il privilegio di farne già parte. Così ci si tiene vicine le persone stimate, non si infastidisce nessuno, non ci si fanno nemici. Non si viene escluse.
Questo però è un atteggiamento che non fa parte di me, e che anche nei momenti in cui ho cercato di tenerlo, è durato molto poco. Così tante volte ho creato attrito, dove non poteva esserci confronto sereno e comprensivo, ho avuto problemi – sempre e solo io, che pativo ciò che agli altri non importava granché – ho perso occasioni di entrare in cerchi e, laddove ne facevo già parte, sono dovuta andarmene o ne sono stata rigorosamente esclusa.
Non ho potuto tacere o fare finta di niente, quando ciò che ho visto e sentito contrastava fortemente con i miei valori, con il mio senso della giustizia, con la coerenza, con posizioni interiori ed esteriori che sento sacrosante. E questo mi ha portata a perdere sempre.
Ho sempre perso, ho sempre sacrificato.
Sono stata esclusa da ogni sorta di cerchio, o sono stata io a doverlo abbandonare.
Perché sono quella che “non lascia passare”, che non si adatta, che non accetta a testa bassa, e tanto meno con gratitudine, ciò in cui non crede e che ritiene sbagliato.
Ho incassato colpi terribili, parole taglienti, giudizi spietati. Ho visto ergersi muri di separazione invalicabili. Raramente sono stata sostenuta, e non ho mai ricevuto scuse.
E davanti a tutto questo ho sofferto davvero tanto.
In ogni momento avrei potuto evitarlo, fare finta di nulla, adattarmi.
Ma ho sempre scelto consapevolmente di non farlo.
Ogni volta mi sono preparata alla tempesta che ben sapevo si sarebbe scatenata, e ogni volta le mie difese non sono state sufficienti. Così ogni volta sono stata travolta da forze molto più grandi di me.
Eppure non ho ceduto e non mi sono mai pentita di essere stata fedele a me stessa.
Ho sofferto perdite e sacrifici, ma non li ho mai rimpianti.
“Piangerai tanto, ma piangerai in pace con te stessa”, mi sono ripetuta. E ogni volta è stato così.
E ogni volta, alla fine, la tempesta è passata, e io ne sono uscita pulita. Sola, ferita, ma pulita.

E anche adesso, mentre osservo l’ennesima perdita, gli ennesimi sacrifici, e mi chiedo quanto valore avessero per me, così da prendere coscienza della profondità delle ferite, la tempesta sta passando.
Piango tanto, ma piango in pace con me stessa.
E ne esco pulita. Sola, ferita, ma pulita.

***

Quanto sei disposta a perdere e a sacrificare per rimanere fedele a te stessa?
Illustrazione di Yelena Bryksenkova

sabato 9 maggio 2020

Messaggi di Bellezza per la Madre-Universo

Piccole pratiche di Scrittura Magica
Messaggi di Bellezza per la Madre-Universo


Questo è un rituale di offerta e di gratitudine, che non chiede nulla, ma dà soltanto.
Accendere una candela bianca e, se possibile, disperdere con un bruciaessenze alcune gocce di olio essenziale di ylang-ylang, o di un'altra essenza gradita – una goccia per metro quadro di stanza.
Concentrarsi nel proprio centro e ascoltare il proprio respiro, il proprio cuore, il proprio ventre. Sentire il proprio essere, senza pensare, la propria presenza, ciò che si è qui e ora.
Lasciar emergere il senso di armonia interiore, l’apertura alla bellezza della Madre-Universo, la gratitudine per tutto ciò che rappresenta, e tradurre queste sensazioni in una o più parole, o in una breve frase.
Saranno parole di bellezza, messaggi di gratitudine tanto semplici quanto ricchi di amore, pregni di tutto il nostro essere.
Pronunciare la parola – o le parole, o la frase – più volte, sentendola pienamente, identificandosi con essa e lasciando che si diffonda come un’onda di energia vibrante e armonizzante.
Trascriverla su un foglietto e, ripetendola ancora, bruciare il foglietto. Le ceneri andranno poi disperse nell’aria.
La Madre-Universo accoglierà con gioia il nostro messaggio, e lo ricambierà in misura infinitamente più grande.

I momenti belli della giornata

Piccole pratiche di Scrittura Magica
I momenti belli della giornata


Ogni sera, o ogni qualvolta è possibile, ritagliarsi qualche minuto prima di dormire per trascrivere sul diario le cose più piacevoli della giornata. Possono essere accadimenti importanti, oppure semplici momenti di raccoglimento, di gioia o di meraviglia, come vedere un animale particolare, assistere a un bel tramonto, ricevere una buona intuizione, leggere un bel libro, incontrare qualcuno di importante, visitare un luogo speciale, e così via.
Non servono grandi e lunghe descrizioni, è sufficiente ricordare questi momenti brevemente, ma con le parole giuste, ovvero con parole che rievochino il momento e ne conservino l’emozione e la vitalità.
Ripercorrere la giornata e raccogliere le cose più importanti, trascrivendole, aiuta a ricordare e a fare tesoro, integrare e nutrirsi di ciò che si vive e di cui si fa esperienza.

Se la giornata non è stata piacevole, oppure è stata decisamente brutta, per cui non si trova nulla di bello da scrivere, è comunque utile appuntare ciò che grava nei pensieri e sul cuore, ma senza lasciare che la negatività prevalga. Aggiungere invece un pensiero gentile, o magari una possibile soluzione di guarigione che riesca – non subito, ma col tempo – a trasformare gli eventi negativi e tristi, può aiutare molto ad accoglierli o a lasciarli andare.
A volte si ha solo bisogno di piangere e sfogare il proprio dolore, ma c’è una grande differenza fra scrivere o pensare che tutto va male e nulla può cambiare, e dire invece a se stesse che anche se al momento va tutto male, il dolore passerà e il giorno dopo andrà meglio.
In questo modo non si andrà a dormire con il cuore troppo pesante, ma con fiducia e con un atteggiamento che favorirà la risoluzione.

Scrivere e ricordare i momenti belli della giornata aiuta a tenere un contatto con se stesse e con ciò che la vita ci regala – o ci spinge a imparare – ovvero a fare chiarezza e a conservare sulla carta, oltre che nella memoria, i propri passi, stendendo un manto di pace sul proprio passato, per vivere bene il proprio presente e rendere la strada più liscia e soleggiata per il proprio futuro.
Illustrazione di Yelena Bryksenkova

Tempeste di Parole

Piccole pratiche di Scrittura Magica
Ristabilire chiarezza e centratura dopo la tempesta


Quando succede qualcosa di spiacevole, o si è preda della confusione, della tristezza, oppure ci si sente sopraffatte/i dagli eventi e non si riesce a recuperare una visione chiara e una buona centratura in se stesse/i, prendere un foglio – di carta oppure virtuale – e scrivere tutto ciò che si ha bisogno di dire, buttando fuori ciò che si prova. Scavare dentro di sé senza paura e senza vergogna, e far emergere tutto senza filtrare e trattenere nulla. Liberare le parole e tutto il loro peso.
Quando si ha finito, mettere da parte il foglio e lasciar passare una notte, dormendoci sopra.
Il giorno seguente, riprendere il foglio e rileggere ciò che si ha scritto.
Molto di quello che si leggerà potrebbe apparire meno pressante, o avere una carica meno pesante, e alcune cose potrebbero addirittura rivelarsi, alla luce del mattino, più banali di quanto si pensasse. È però probabile che saranno rimaste parole che hanno mantenuto il loro peso, e quelle sono l’essenza del recente vissuto.
Queste parole rappresentano ciò che ha più effetto, nel bene e nel male, e contengono l’insegnamento da cogliere, oppure i nodi da sciogliere, oppure le ferite da medicare e guarire.
Segnare quelle parole e quelle frasi, e trascriverle sul diario o su un altro foglio che dovrà essere conservato finché sarà necessario. Il primo foglio andrà bruciato – se è virtuale può essere stampato e bruciato, oppure semplicemente eliminato – così che tutta la confusione che si aveva bisogno di buttare fuori si dissolva in fumo e rientri, armoniosamente, a fare parte della natura.
La natura stessa avrà cura di rigenerare, trasformare e portare chiarezza laddove non saremo in grado di farlo da sole/i.

Quindi, rileggere il foglio o la pagina conservata, affrontando con calma e gentilezza le parole che contiene. Lasciarle lavorare ancora interiormente, con sincera volontà di risolvere o accogliere, e ascoltare le intuizioni e le soluzioni che nasceranno da sé, e che porteranno a integrare – non a scavalcare ed evitare – l’esperienza, mutandola in preziosa consapevolezza.
Così sarà possibile chiarire gli eventi, e ristabilire un contatto saldo con se stesse/i, con il proprio centro, e con ciò che lo circonda.

Distillare la scrittura

Sin da piccola ho sempre amato scrivere il diario. Riempivo pagine e pagine, descrivendo tutto quello che succedeva nelle mie giornate, dalle cose più banali a quelle più importanti. Crescendo ho smesso di scriverlo, e per diversi anni non ne ho più avuto uno, ma ho trovato altri modi per appuntare quello che non volevo dimenticare. Soprattutto in un certo periodo della mia vita molto particolare, mi dispiace tanto di non aver avuto un diario da scrivere giorno per giorno, ricordando ogni più piccolo dettaglio, ogni momento gioioso o triste, perché vorrei tanto immergermi di nuovo in quegli anni e ritrovare ogni cosa vissuta, soprattutto quelle che ora non ricordo più… anche se so che sono ancora qui, nascoste da qualche parte nella mia memoria e in attesa di riemergere ogni qualvolta saranno richiamate da immagini, sensazioni, luoghi, profumi.
Da quando ho ricominciato a scrivere il diario privato, dedicato solo e soltanto alle esperienze più magiche o profonde, come anche l’agenda e questo diario pubblico, molte parti di me stessa che erano un po’ disperse e inconsapevoli, hanno ricominciato a riunirsi e stanno confluendo e rientrando nel mio cammino interiore, che le coinvolge tutte. Per questo so che scrivere il diario aiuta davvero, soprattutto a riordinare a vari livelli di coscienza della propria vita, permettendo di creare uno specchio fatto di pagine e inchiostro in cui ritrovarsi e riconoscere le proprie luci e le proprie ombre, i propri limiti da ampliare, gli spigoli da levigare, e le proprie piccole e grandi illuminazioni.

Mano a mano che scrivo il diario, ma anche le mie ricerche, cerco di fare una pratica a cui sono molto legata, ovvero la distillazione degli eventi e la riduzione alla sostanza essenziale.
Le giornate sono fatte di tanti momenti, molti dei quali non meritano troppa attenzione o enfatizzazione, ed anzi, sarebbe meglio lasciarli scorrere senza trattenerli o lavarli via con dell’acqua fresca e pulita. Ma spesso capitano piccole cose che nascondono dietro l’apparenza di gesti e accadimenti semplici e quotidiani, un senso profondo. Questi istanti sono quelli che davvero meritano di essere descritti a parole e impressi nella memoria.
Dallo scrivere ogni cosa, come facevo da bambina – il che comunque è una grandissima pratica di scrittura libera – sto cercando ora di dare più valore a carta e inchiostro, dedicandoli solo a ciò che per me conta di più, e che è più importante per il mio cammino. Così, da tante parole sprecate e inutili, ne traggo solo alcune, le raccolgo con cura e le scrivo.
Spesso sono singole parole cariche di significato, che non hanno nemmeno bisogno di una frase che le contenga e le spieghi. Sono “parole essenziali”, distillati di esperienza vissuta, fiammelle brillanti e, spesso, chiavi che aprono porte di cui prima ignoravo l’esistenza.
Appuntandole e lasciando che il loro significato e gli eventi che le hanno create continuino ad agire e a comunicare sottilmente i loro messaggi, quelle parole-chiave aprono serrature nascoste, e così mi è possibile entrare in quelle stanze e in quei giardini che sono lì apposta, e che custodiscono i simboli e le risposte che guideranno i passi successivi del mio cammino.

Quando distillo la scrittura, e per farlo distillo la mia stessa esperienza, sento davvero di compiere un vero e proprio rituale, una pratica magica a volte semplicissima e giocosa, altre volte molto sofferta, travagliata e difficile, eppure sempre efficace, realmente trasformativa, armonizzante, e all’occorrenza, guaritiva.

Nel prossimo messaggio voglio condividere con chi mi legge un paio di pratiche di scrittura che sperimento da tempo e che mi sono molto utili, perché oltre ad essere carine, magari possono essere utili anche ad altre/i.
Illustrazione di Yelena Bryksenkova

venerdì 8 maggio 2020

Il giudizio della Donna

Le mie Letture
Il giudizio della Donna

Ma come è potuto accadere, potrebbe chiedersi la nostra Donna primordiale, che i figli umani della Grande Madre abbiano sovvertito l’ordine e l’armonia naturale fino a questo punto?
Come può essere successo che il mondo, ovvero quello che lei ha sempre considerato il tempio sacro in cui innumerevoli entità d’armonia disincarnate ed incarnate si manifestavano in modo invisibile o visibile, seguendo le regole naturali che le ponevano in sintonia con la Grande Madre e gli Dei luminosi che reggevano le sorti dell’universo, sia stato reso così falso, così artificiale, così profano e così profanato?
Quali orrendi demoni, quali false verità hanno preso possesso delle menti e delle anime degli uomini per renderli nemici, consapevoli e inconsapevoli, delle antiche armonie che in tempi remoti reggevano i destini del mondo?
Come hanno potuto profanare, oltraggiare ed imbruttire il corpo della Grande Madre fino al punto di renderlo inadatto alla manifestazione visibile od invisibile della divinità?
Come hanno potuto gli uomini agire in un modo talmente folle ed essere abbandonati da quegli Dei luminosi, che davano un facile e buon senso all’esistenza delle genti primordiali?


(Ada d'Ariès, Il giudizio della Donna, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano, 2000, pagg. 22-23)

Un brano che era vero venti anni fa, quando è stato scritto, e che è tragicamente ancora più vero oggi.
Illustrazione di Chiara Fedele

mercoledì 6 maggio 2020

La Via della Lumachina

Stamattina, mentre ancora un po’ assonnata prendevo qualche raggio di sole seduta fuori, ho visto brillare intensamente un puntino per terra. Il sole andava e veniva dietro le nuvole, e il puntino luccicava e si spegneva, riflettendone la luce. Per un po’ mi sono chiesta cosa fosse, magari una piccolissima goccia d’acqua, oppure una briciola di vetro, ma quando il sole si rifletteva in quel punto il riflesso era accecante, molto più brillante di quello del vetro, e forse anche di quello dell’acqua.
Incuriosita, ho messo da parte la mia pigrizia mattutina e mi sono alzata per andare a vedere da vicino cosa fosse. Mi sono inginocchiata e ho notato che sopra un rametto portato dal vento, era rimasto un sottile filamento di bava di lumaca, che si era solidificato e sotto al sole creava un riflesso iridescente e lucentissimo.
Nessuna presenza sottile luminosa, come la mia bambina interiore, imperterrita, spera sempre, eppure non ne sono rimasta delusa, perché quel riflesso era davvero bello, e guardandolo da vicino ho visto che il percorso continuava, e che la lumachina, proveniente dalle ombre umide dell’edera che cresceva proprio accanto, aveva fatto un piccolo cerchio vicino al legnetto e poi si era diretta chissà dove, alla ricerca di cibo. Da vicino anche le poche altre tracce del suo passaggio luccicavano, e ho immaginato un intero percorso iridescente, che compariva e scompariva sotto ai raggi di sole, indicando una via segreta che solo coloro che sanno aspettare il momento giusto – ovvero quello in cui le vie nascoste si lasciano vedere – e scorgere l’invisibile nel visibile, avrebbero potuto trovare e percorrere.
Ricordando che era stata proprio una lumaca a tracciarlo, ho sentito che non poteva che essere un percorso lento, attento, che porta a scoprire quelle piccole cose magiche che i più non vedono affatto, troppo presi come sono dalla frenesia dell’arrivare e del fare, piuttosto che dalla pazienza dello stare e dell’ascoltare.
Il percorso luminoso o invisibile delle lumache, spesso è circolare, spiraleggiante, fa molti giri che possono sembrare a vuoto, o inutili, mentre invece hanno il loro senso. E le lumachine che lo compiono, così come coloro che le imitano e da loro imparano, trovano sempre quel che cercano.

Le lumache hanno davvero tanto da insegnare, con il loro vivere lento e il loro camminare rallentato e luminescente, per non parlare poi delle piccole chiocciole, che ovunque siano e ovunque vadano, sono sempre a Casa.

Forse, dopotutto, quel minuscolo puntino iridescente e luminosissimo era davvero magico, perché mi ha donato un momento di intuizione profonda, e ha offerto un’occasione preziosa per poter conoscere e magari imparare a percorrere ancora di più la saggia Via della Lumaca, che insegna a trovare vicino tutto ciò di cui si ha bisogno, e a vivere l’intero universo in uno spazio minuscolo.
Allora è proprio vero che nella scia che, camminando, ci si lascerebbe alle spalle, resterebbe impressa, e continuerebbe a brillare, la luce del sole e di tutte le stelle.

La voce della Lumachina

Non solo il cammino lento permette di vedere le tracce magiche sparse sul percorso, ma anche il modo in cui cambiano insieme alla luce. Ripercorrere, lentamente, la stessa strada in momenti diversi o in un tempo prolungato, permette di vederla mutare così come muta la luce. E potrebbe succedere di veder comparire cose che in altri momenti non sono visibili, così come è possibile veder brillare i filamenti opalescenti della mia bava solo in certi momenti del giorno, quando la luce del sole o della luna vi si riflette, e solo per breve tempo, perché basta un soffio di vento, o il passaggio di un altro animale, perché esse si dissolvano in minuscola polvere iridescente, che svanisce nell’aria in un battito di ciglia.

domenica 3 maggio 2020

La nascita di Blodeuwedd

Non di padre né di madre
fu il mio sangue, fu il mio corpo.
Fui stregata da Gwydion,
grande incantatore dei Britanni,
quando mi formò di nove fiori,
nove germogli di varia specie:
di primula di montagna,
ginestra, ulmaria e gittaione,
frammisti insieme,
del fagiolo che reca nella sua ombra
una bianca armata di spettri
di terra, della specie terrestre,
dai fiori dell'ortica,
di quercia, di rovo e del timido castagno
nove poteri di nove fiori,
nove poteri combinati in me
nove germogli di piante e alberi.
Lunghe e bianche sono le mie dita
come la nona onda del mare.

La Nascita di Blodeuwedd - Hanes Blodeuwedd
Tratto da La Dea Bianca, di Robert Graves

***

In questo periodo dell’anno ricordo sempre la meravigliosa nascita di Blodeuwedd, il cui nome in lingua gallese significa letteralmente “Viso di Fiori” poiché era nata dai fiori e di tutti i fiori incarnava la bellezza.
In tempi pre-patriarcali, la Vergine Fiorita nasce dai fiori e genera fiori da se stessa, senza alcun intervento da parte del maschio, poiché lei è indipendente, autonoma, nasce da se stessa e rivolge la sua bellezza a tutte le creature sensibili e naturali, senza preferenze.
Così può amare e farsi amare da tutte.
Il suo profumo è inebriante e attrae a sé, conducendo alle profondità umide, luminose e colorate dei suoi calici colmi di nettare. Così nutre, disseta e genera nuova vita.

La Vergine Fiorita insegna ad amare prima di tutto se stesse, così da poter distendere i propri petali e mostrare al mondo la propria bellezza, senza timidezza o vergogna, libere e presenti a se stesse, completamente offerte alla vita, così come lei si offre completamente alla luce del sole, alle gocce di pioggia, ai riflessi argentini della luna.
La Vergine Fiorita ci chiede di amarci così tanto da emanare all’esterno l’essenza del nostro stesso amore, come essenza profumatissima che può avvolgere e inebriare a sua volta, attraendo e richiamando tutte le creature sensibili e naturali, senza preferenze.
Così possiamo amare e farci amare da tutte.
E nutrire, e dissetare, e generare nuova vita.

sabato 2 maggio 2020

Il profumo dei Fiori di Limone

Chiudere le porte alla disarmonia che non mi apparteneva e dalla quale mi discosto completamente, accettando in piena pace e comprensione ogni gesto di protezione così necessario di questi tempi, mi sta rigenerando in profondità, e davvero mi chiedo perché non lo abbia fatto prima. Sto assaporando ogni respiro lento e delicato, ogni momento di silenzio, il silenzio che finalmente rispetta la natura e la sua musica semplice e magica.
Sto ritornando a me stessa, alla mia armonia, alla mia quiete luminosa, ora libera di esprimersi perché non più influenzata da disagi non miei. Così adesso può riemergere la gioia, e consolidarsi la gratitudine per la bellezza di queste giornate silenziose e profumate, nelle quali la pioggia e l’abbagliante luce del sole sono doni di uguale importanza e bellezza, e gli animali non sono mai stati così presenti e vicini.

Oggi ho iniziato la giornata salutando il sole e lasciando che la sua luce sfolgorante mi avvolgesse. Ho immaginato che mi attraversasse e che riempisse ogni parte del mio corpo, che illuminato dall’interno si purificava di ogni ombra.
Immaginare fino a sentire di avere un sole nella testa, dissolve davvero ogni pensiero, e per qualche attimo si è luce e basta. Luce, e trasparenza, e leggerezza.

Qualche giorno fa ho portato a casa una splendida pianta di limone, con alcuni limoni quasi maturi appesi ai rami e tanti, tantissimi altri limoncini che stanno iniziando a crescere, e oggi, nel pieno del pomeriggio, uno dei boccioli ha disteso i suoi petali e mi ha inebriata per ore con il suo profumo intenso. Sembra strano, ma non avevo mai sentito il profumo dei fiori di limone, e posso dire che sia uno dei più buoni che io abbia mai sentito. Molto diverso dal mio profumo preferito, quello dei fiori d’arancio dolce, ma davvero estasiante.
Avvolta da questa fragranza così fresca e penetrante, ho trascorso il pomeriggio a studiare e trascrivere appunti sugli oli essenziali e l’aromaterapia, che mi stanno richiamando e ispirando molto, e credo che questo momento rimarrà impresso proprio nella mia memoria olfattiva, tanto da riemergere nei ricordi, ogni volta che sentirò il profumo di fiori di limone.

Quando è calato il buio ho acceso una candela dentro la piccola lanterna appesa accanto ai gerani, e mi sono presa qualche istante per guardare la luna crescente, ormai quasi prossima al plenilunio.
E stanotte uno dei doni più belli “si è fatto sentire”. Sono arrivati gli usignoli, e uno sta cantando proprio adesso su un albero poco lontano. Il suo canto si unisce ai fischi ritmici delle civette, e mi riporta alla memoria preziosi ricordi di danze nel bosco, sotto la luna piena, mentre una miriade di usignoli cinguettava fra i profumatissimi fiori delle robinie.

Saranno canti e profumi a guidarmi in queste giornate tiepide e luminose. Saranno loro a parlarmi, ad avvicinarmi al reame sottile, a fare da ponte con lontani ricordi e a crearne di nuovi per i giorni che verranno, a raccontarmi storie e a risvegliare quella parte di me che, sopita, non aspetta altro che inebriarsi e riemergere alla luce del sole.
Perché a volte basta il bacio di un fiore profumato, per risvegliare le principesse dormienti, e restituire loro la corona.

venerdì 1 maggio 2020

Società antiche e cerchie moderne

Nell’antica Società delle Donne Nootka esisteva una tradizione. Le donne usavano riunirsi in cerchio e raccontare, parlare, ridere, scambiarsi coccole e dolci parole, condividendo ciò che di importante accadeva nelle loro vite. Quando una donna arrivava nel cerchio portando la propria preoccupazione, i propri dubbi, la propria tristezza, le compagne la ascoltavano e la consigliavano, se avevano vissuto qualcosa di simile, le dicevano cosa avevano fatto, o non fatto, o cosa avrebbero dovuto fare in quella situazione, offrendo alla compagna consigli per risolvere il proprio problema.
Così lei poteva agire, risolversi e rientrare nella propria armonia.
Quando però una donna si ripresentava al cerchio con lo stesso problema per più di tre volte, o portava ripetutamente disarmonia, le altre donne si alzavano in piedi, si allontanavano e riformavano il cerchio distanti da lei, dicendole di risolvere il proprio cruccio, poiché aveva già ricevuto abbastanza tempo e comprensione dalle altre, ed era giunto il momento di risolversi da sola. E quando lei ci fosse riuscita, sarebbe stata riaccolta dalle altre donne, nel cerchio.

Ho sempre amato questa storia, e l’ho sempre trovata estremamente giusta, come giuste sono tutte le altre tradizioni di saggezza delle antiche matriarche.
Però è una storia che appartiene al proprio tempo, mentre oggi credo che non sia possibile, o comunque che sia molto difficile, attuarla. Al contrario, continuo ad assistere alla sua perfetta sovversione.
Moltissimi cerchi di donne moderni non hanno le radici affondate nella terra. Molti sono improvvisati, basati su valori incerti o assenti, chiunque è ammessa – anticamente non era così, bisognava dimostrare di essere adatte a farne parte – e chiunque può guidarli. Spesso chi li guida e ne fa parte sono donne normali, che vivono una vita normale, che non hanno mai vinto il proprio ego, che non hanno mai conosciuto la dimensione dell’infinito, che non sono capaci di distaccarsi dal proprio filo del destino per innalzarsi al di sopra di esso e provare a scorgere una parte più estesa dell’intricata e armoniosa trama, che non si sono accostate alla saggezza, anche se credono di essere già arrivate, di aver già terminato il proprio cammino, di poter insegnare alle altre e di poter giudicare chi non è in accordo con loro.
Inoltre a seconda di ciò che accade all’esterno, questi cerchi vacillano, non sono in grado di mantenere un equilibrio costante e radicato, e possono diventare covi di rabbia, di risentimento, di disarmonia, se non di completo distaccamento dalla realtà e dal buon senso.

Nell’ultimo periodo ho osservato tanto. Anche se non sono stata capace di distaccarmi dal nervosismo provocato da certe realtà di questo tipo, ho guardato a lungo ciò che mi circondava. Raramente ho riconosciuto saggezza, pazienza, capacità di guardare la trama e non solo il proprio piccolo filo. Certo, non sono nessuno per poter dire di riconoscere la vera saggezza, ma seguo il mio istinto, e anche se non considero troppo le realtà degli altri, considero molto la realtà armonica che prescinde dagli altri, e vedo il modo in cui immancabilmente quasi tutti si pongono in contrasto e in attrito con essa.
Nella mia visione, molti di questi cerchi che imitano l’antico senza però poterlo incarnare, sono ad oggi la sua negazione, e coloro che se ne sono rese conto, me compresa, non possono fare altro che abbandonarli.
Allora è la singola donna ad alzarsi in piedi, ad allontanarsi, e a riformare la propria armonia altrove.

In questi luoghi di solitaria armonia ritrovata, lontani dal caotico vociare di cerchi ormai lontani e incapaci di portare un raggio di calma saggezza che squarci e guarisca il buio che stiamo vivendo, è possibile respirare di nuovo. Respirare di nuovo, liberamente.
E attecchire alla terra.
E spingere le proprie radici in profondità.
E ascoltare, nel silenzio, il battito del proprio cuore. E calmarlo, riequilibrarlo, risintonizzarlo con quello della terra.
E ritrovare l’equilibrio, la presenza, la gioia interiore.
E rigermogliare, distendere petali e foglie alla pioggia e al sole.
E ricominciare a partorire i propri frutti.
E nutrirsene, e offrirli alle poche e ai pochi che, seguendo la stessa necessità, si sono allontanati per riformare la propria armonia altrove.
E gioire, creare magia, diffondere bellezza.
E offrire Amore alla Grande Madre e alle sue buone e belle creature naturali, sapendo che Lei saprà accoglierlo, e ricrearlo da se stessa, nelle sue infinite e perfette forme.
Illustrazione di Yelena Bryksenkova